La carità non avrà mai fine

Raccolgo, nel colloquio con un amico, una duplice domanda retorica: può esistere una Chiesa non vicina ai poveri? una Chiesa che rinunci ad educare alla carità?

E’ una questione tanto retorica quanto fondamentale, anche in questi nostri tempi.

E’ ovvio che la risposta può essere inequivocabilmente: NO, sia alla prima che alla seconda questione.

A mio parere, chi si disponga ogni giorno alla sequela del Risorto, ovvero del Signore Vivente ed operante, e delle istanze del Suo Vangelo sa che deve inequivocabilmente ricercare la testimonianza della carità senza dubbio alcuno, senza timore, men che meno, di sentirsi etichettato come “buonista” o “benaltrista”.

Da quel mattino di Pasqua fino ad oggi chi desidera operare per la venuta del Regno di Dio (come Gesù ha invitato a chiedere nella preghiera da lui insegnataci), ha ben chiaro che inequivocabilmente il Vangelo,tra l’altro, evidenzia: 28Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; 30amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza.31Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». (Mc. 12, 28-31)

Sembra dire Gesù che il primo comandamento inizia con l’ascolto e sfocia nell’amore del Signore.

“Solo con l’ascolto il credente può aprirsi all’accoglienza e all’obbedienza dei comandamenti, al dono della legge che è atto di amore di Dio verso il suo popolo, atto che segna l’incontro nuziale dello sposo (il Signore) con la sposa (il suo popolo). Sì, il popolo di Dio è il popolo dell’ascolto, è l’assemblea cui Dio parla, l’assemblea alla quale Dio si rivela e questo resta lo specifico di Israele e della chiesa. E proprio perché è assemblea che ascolta Dio e dunque lo conosce, la chiesa risponde a Dio con l’amore.” (Enzo Bianchi)

Ascolto e amore di Dio: un legame inseparabile per il cristiano!

Gesù esprime anche questo secondo comandamento con una regola: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti”. (Mt. 7,12)

La Scrittura è quanto mai esplicita nell’affermare che la carità è la sintesi, anzi la pienezza, il compimento della legge e dei profeti: così dice Gesù (Mt. 22, 37-40). Sono conosciuti come “i due comandamenti dell’amore”, verso il cui adempimento ogni credente può dirsi sempre e solamente in cammino, a volte – aggiungo – faticosamente in cammino.

Paolo fa eco al Maestro quando nella Lettera ai Romani riafferma che noi abbiamo un unico debito nei confronti degli altri, cioè la carità, perché la carità appunto è il compendio e la pienezza della legge.

In particolare Gesù sottolinea come questo comandamento è il “suo” comandamento, lo qualifica come “nuovo” comandamento (Gv. 15, 9-17). Questa novità del comando di Gesù Cristo, si ritrova nella carne crocifissa del Figlio di Dio: è la croce che comunica tutto l’amore di Dio per l’uomo.

Credo che non sia esagerato dire che le nostre comunitàcristiane non hanno afferrato sempre, o a sufficienza, che il cuore è l’amore di Dio per noi e conseguentemente il comandamento “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”.

Le nostre comunità cristiane sono segnate da marginalità, da superficialità e da sporadicità, nel senso che il comandamento dell’amore è qualcosa di marginale rispetto a tanti altri precetti. Ogni uomo è amato da Dio e proprio per questo ogni uomo deve essere amato dal suo fratello.

Dobbiamo avere il coraggio, nelle nostre comunitàparrocchiali, di vivere il Vangelo fino alle estreme conseguenze…dell’amore.Da domestica, la nostra carità si dovrebbe fare mondiale. Tante valutazioni, maanche tante scelte concrete non testimoniano, a mio avviso, che questo è il respiro abituale, comune, direi naturale delle nostre comunità ecclesiali.

La nostra carità, proprio perché trova il suo criterio, la sua sorgente in Cristo deve avere le stesse preferenze del Vangelo: quelle degli ultimi, quelle dei poveri. Noi possiamo e dobbiamo parlare dei poveri in senso sociale, in senso sanitario, in senso economico, in senso morale ma non dovremmo mai dimenticare che il senso più profondo dell’essere poveri e dell’essere ultimi è in senso etico, spirituale e religioso. Quando le persone sono indifferenti al richiamo della trascendenza, al richiamo di Dio come unico e sommo bene, o addirittura quando le persone rifiutano tale unico, sommo bene, allora sì che siamo di fronte alla povertà più pesante.


Nella consapevolezza della necessità di sostenere il cammino dei credenti  la Chiesa, che secondo l’espressione di Papa San Giovanni XXIII è madre e maestra, nel corso dei secoli va maturando e offrendo a tutti gli uomini di buona volontà lumi e incoraggiamenti.

Lumi e incoraggiamenti che, con Papa Benedetto XVI haribadito come questo comandamento sia, come affermato da Gesù stesso, il piùimportante e come abbia la duplice natura di amare Dio e amare il prossimo. Anche nell’enciclica Deus caritas est (Dio è amore), la prima del suo pontificato, ha precisato che esso non si configura solo come un comandamento ma sia, prima ancora, “la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro”.

Lumi e incoraggiamenti con Papa Francesco che, in coerenza ein continuità con il magistero petrino che lo ha preceduto, indica il Vangelocome rotta sicura da seguire per la barca della Chiesa anche testimoniandolo nel dialogo con credenti di altre fedi e non credenti.

La Chiesa Italiana ha maturato a lungo dal documento della Conferenza Episcopale “Evangelizzazione e testimonianza della carità” (8 dicembre 1990) e con il successivo Convegno di Palermo (1995) in poi la necessità di vivere, sia come singoli che come comunità, “con il dono della carità dentro la storia”.


Alcune sottolineature per tratteggiare, secondo la mia personale sensibilità, alcuni passi compiuti:

” L’uomo non può essere guardato solamente come un potenziale membro della Chiesa né l’amore della Chiesa per l’uomo può consistere solamente nell’offerta che gli viene fatta della fede in Cristo e dell’incorporazione ecclesiale. Se egli rifiuta la fede rimane un fratello amato da Dio.

La missione della Chiesa, quindi, nei suoi confronti, non si arresta quando, portato il buon annuncio, questo non viene accolto. Se ciò che spinge la Chiesa a detta di Paolo, é l’amore di Cristo, la tensione d’amore è costitutiva della sua missione.

L’amore del mondo, quindi, non consiste solo nello sforzo che si fa per convertirlo, ma nella continua e impegnativa scoperta che il mondo è amato da Dio e salvato, nonostante il suo peccato, dalla divina misericordia.” (Severino Dianich)

La Chiesa deve porsi continuamente di di fronte al Cristo, suo giudice e sua misura, perchè possa mantenersi fedele ed autentica, Gesù la invita a farlo mettendosi di fronte all’ uomo bisognoso di amore. Così Gesù indica alla Chiesa un luogo preciso nel quale egli esercita ogni giorno nella storia il suo giudizio escatologico: questo luogo é la persona del povero.

«31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». 37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». 40E il re risponderà loro: «In verità io vidico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato peril diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato». 44Anch’essi allora risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?». 45Allora egli risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo diquesti più piccoli, non l’avete fatto a me». 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna». (Mt. 25,31-46)

Questa è la sola via che conduce al Regno e, quindi, la Chiesa non può esserne il sacramento che ponendosi al servizio del povero e offrendo il suo amore ad ogni uomo.

Piaccia o non piaccia tale è l’insegnamento del nostro unico Maestro che ci promette di rendersi presente nei poveri, nei piccoli, nei bisognosi. Per noi credenti seguire o non seguire il suo Vangelo può fare la differenza addirittura per la vita eterna.

“Ora se l’ansia per l’uomo costituisce il dinamismo vitale della Chiesa, essa non può non ritrovarsi con un’identità diversa a seconda della situazione umana che sta attraversando nel suo pellegrinaggio verso il Regno. Pur portando con se la medesima Parola, proclamando sempre Gesù come unico Signore, ritrovandosi sempre a celebrare i suoi sacramenti come perenne memoria di lui, di fatto essa si configura sulle dimensioni proprie del servizio che di volta in volta è chiamata a rendere all’uomo in vista del Regno.

Sia la proclamazione della fede che il suo cammino verso il Regno prendono forma dall’amore per l’uomo concreto al quale comunicare la fedee con il quale camminare verso il futuro di Dio”. (Severino Dianich)

Infatti per Paolo, se tanti sono i carismi che determinano l’operosità ecclesiale, inequivocabilmente al di sopra di tutti, il carisma più grande, quello della carità. (1 Cor. 13)

“Se la comunità ecclesiale è stata realmente raggiunta e convertita dalla parola del Vangelo, se il mistero della carità è celebrato con gioia e armonia nella liturgia, l’annuncio e la celebrazione del Vangelo della carità di Cristo non può non continuare nelle opere della carità testimoniata con la vita e col servizio; anzi, ogni pratico distacco o incoerenza tra parola, sacramento e testimonianza impoverisce e rischia di deturpare il volto dell’amore di Cristo”. (Evangelizzazione e testimonianza della carità, 28)

“La Chiesa italiana e le prospettive del Paese” (1981) é il documento con il quale i vescovi invitavano  a “ripartire dagli ultimi”; successivamente, con espressione diversa, “amore preferenziale per i poveri” a più riprese il magistero della Chiesa e l’episcopato italiano hanno richiamato le comunità cristiana e i singoli fedeli alla fedeltà evangelica.

Infatti l’amore preferenziale per i poveri ha un carattere teologico e cristologico, e dunque non è una scelta pastorale opzionale, ma costitutiva della missione evangelizzatrice della chiesa. L’opzione per i poveri é evangelica, ciò significa che riguarda un atteggiamento fondamentale del Signore che nell’annuncio della nuova novella a tutti gli uomini, assunse l’amore preferenziale per i poveri, costituendoli come i primi destinatari e portatori privilegiati dei valori del Regno per confondere i sapienti e i potenti di questo mondo.

L’opzione per i poveri , significa perciò, comprensione della Chiesa come “Chiesa dei poveri”, cioè come luogo di vita con i poveri, dove i poveri hanno voce, ritrovano in Cristo la strada della loro liberazione umana e cristiana, e si fanno promotori di una trasformazione dell’intera società per renderla più autenticamente a misura d’uomo. Mi viene alla mente il desiderio espresso di Papa Francesco dopo pochi giorni dalla sua elezione, “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”.

Lo stile di povertà e di sobrietà è un elemento costitutivo dell’opzione dei poveri e un segno tangibile dell’autenticità della missione della chiesa.

Concludendo, senza pretesa di mettere il punto, il cristiano è colui che aderisce al Signore, che si mette alla sua sequela e che deve annunciare come Gesù “ha detto e ha fatto”. Il legame tra il render conto della speranza che è in lui (1 Pt. 3,15), cioè l’evangelizzazione, e il testimoniare in opere, concretamente, ciò che crede e spera, è un legame inscindibile!

Che cosa è infatti la carità se non fede operante, e che cosa è l’evangelizzazione se non fede eloquente, fede che parla e annuncia la salvezza di tutti in Cristo morto e risorto?

Dunque la fede deve essere operante ed efficace attraverso la carità!

Claudio

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