Vista dall’Alto

Questa sera 09 ottobre 2020, ore 21,15 presso il Centro Pastorale Culturale Mantellate (g.c.)

incontro dialogato con don Armando Zappolini direttore Caritas diocesana San Miniato

La città giusta

Vivere questa città con giustizia, sobrietà e pietà. Per nuovi stili di vita.

Ti invitiamo a partecipare


Si racconta che, una volta, Papa Giovanni XXIII abbia raccomandato: ”Se incontri un viandante non chiedergli da dove viene: domanda dove sta andando”.

Saluto ciascuno e ciascuna di voi, “qualunque sia la ricchezza della propria fede o delle proprie convinzioni” (Papa Francesco, Fratelli tutti), innanzitutto mi rallegro per poter condividere questo tempo di incontro adesso, insieme.

Questa seconda occasione, dopo la preghiera ecumenica sulla città guidata da fratel Benedetto lo scorso 27 settembre, si colloca idealmente come conclusione del “Tempo del creato”, posticipata di pochi giorni rispetto alla data del 4 ottobre, che, a 5 anni dalla Laudato si’ abbiamo voluto prendere a base della nostra riflessione: La città giusta. Vivere in questa città con “sobrietà, con giustizia e con pietà” per nuovi stili di vita.

Abbiamo chiesto all’amico don Armando Zappolini, che qui porta il proprio sentire ed operare in Caritas diocesana di San Miniato ed in Caritas regionale per quelli che sono i nuovi stili di vita, di aiutarci a riflettere ed a confrontarci per comprendere dove ci stanno portando i passi che stiamo facendo.

Per contestualizzare le nostre riflessioni inizieremo da una presentazione, a cura di Corrado Giani, che evidenzierà chi e quanto  maggiormente incontrano gli operatori del Centro di ascolto Caritas dell’Unità Pastorale di Pontedera, la cui sede è proprio qui a fianco.

Ringrazio tanto don Armando che ha accolto con entusiasmo la nostra richiesta e gli operatori del Centro di Ascolto Caritas per questa loro condivisione.

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Mentre riflettevamo e ci preparavamo a questo incontro con Alfonso, Mario, Mavi, Moreno, Pier Luigi, Renato e Roberto, mi ha colpito un cartello esposto nell’atrio della chiesa di San Giuseppe con il titolo “Rimpannucciamo la città”, è sostanzialmente un elenco che evidenzia alcuni atteggiamenti

1 non buttare la plastica in giro

2 aiutare le persone a tirare fuori le proprie qualità

3 rispettare le persone

4 preoccuparsi dei sentimenti delle altre persone

5 aiutare gli altri anche se siamo occupati

Seguono le firme di Matii, Ettore, Viola, Martina, Luca, Anna, Chiara, Alessio ed altri bambini e bambine dell’ACR evidentemente solleticati e supportati dai loro educatori con i quali abbiamo individuato, nel tema della Città Giusta, quel punto in comune tra il loro percorso e quello che ci stavamo prefiggendo di compiere ed anche a loro, che sono qui questa sera, un saluto carico di simpatia.

I ragazzi hanno potenzialità enormi anche nei confronti della propria città, potenzialità che rischiano di rimanere inespresse;  per questo anche i più piccoli meritano di incontrare adulti, comunità adulte, amministrazioni pubbliche sensibili che con coraggio e lungimiranza facciano loro sperimentare un autentico e sano protagonismo. Ben vengano pertanto iniziative volte a sensibilizzarli e coinvolgerli, per esempio, come in alcuni luoghi avviene, nel Consiglio comunale dei ragazzi.

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Rimpannucciare, rivestire di nuovi panni, di abiti migliori questa città è senza dubbio un desiderio lodevole ma che non può rimanere solo tale, deve divenire un impegno ed una possibilità. Dunque,  anche noi chiamati a rivestirci di abiti virtuosi; come gli abitanti di Ninive che tutti si convertirono e si salvarono, anche a noi è chiesto, forse, di essere contagiosi nel compimento di gesti virtuosi, nuovi stili di vita per niente impossibili. Il sogno che ho e che desidero condividere con voi è quello che possano affermarsi nuovi stili di vita in cui prevalgano il senso sul vuoto, l’unità sulla divisione, il noi sull’io, l’inclusione sulla esclusione.

Se, però, questo non è il sogno solo del sottoscritto, significa che anche ai credenti non è consentito tirarsi indietro bensì offrire il proprio servizio disinteressato per l’annuncio del Vangelo e per la crescita della comunità civile.

Sono convinto che valga la pena mettere le proprie storie, i propri vissuti, al servizio di questo incontro tra l’altezza dell’infinito e l’ordinarietà del quotidiano, ricercando un’armonia sempre possibile tra piazze e campanili, perché si affermi un’amicizia civica di cui tutti sentiamo il bisogno.

Gli incontri che stiamo proponendo da due anni, come questo, hanno proprio anche l’obiettivo di essere luogo di incontro tra credenti e non credenti perché insieme sui temi della dignità della persona umana, della pace, della nonviolenza, della solidarietà, dell’accoglienza, dei beni comuni, della salvaguardia dell’ambiente, della cittadinanza attiva come su altri è possibile, nell’ascolto reciproco e nel rispetto delle diverse sensibilità ed identità, arricchirci a vicenda perché sia rafforzato il valore della dimensione comunitaria dell’esistenza, con gesti e pratiche più che con teorie.

Del resto, anche Papa Francesco, domenica scorsa all’Angelus ha affermato che: “i segni dei tempi mostrano chiaramente che la fraternità umana e la cura del creato formano l’unica via verso lo sviluppo integrale e la pace, già indicata da Giovanni XXIII, Paolo VI e GPII” donandoci la terza Enciclica “Fratelli tutti” che avremo modo di approfondire prossimamente ma, certamente, nella quale si ha l’immagine di una Chiesa che conferma all’umanità tutta che non rinuncia a navigare con essa in mari aperti e ancora inesplorati  (cfr. par.8).

Claudio



Anno 2019

Benvenuti a ciascuno.

Ma soprattutto grazie per il dono che ci facciamo reciprocamente perché, come ho avuto modo di dire nella lettera di invito:

Al termine della Settimana di festa in onore del nostro Patrono San Faustino abbiamo quindi l’opportunità di ascoltare e confrontarci, consapevoli che si cresce nella misura in cui sappiamo metterci in discussione.

Mai mettersi nei panni degli altri: sembra proprio questa la “bussola quotidiana” che orienta a stare al mondo. Già “stare al mondo”, più che stare con gli altri. Infatti appare sempre più un mondo che gira tutto attorno al proprio io, ai propri pensieri, ai propri interessi. Ogni volta che facciamo prevalere la logica del “prima io”, gli altri scompaiono dall’orizzonte di questo mondo. L’orientamento al disinteresse, all’indifferenza sembra aver trovato terreno fertile anche nelle nostre città.

Niente di più innaturale. E che distanza dalla fede nel Dio di Gesù Cristo.

Che tristezza! di fronte alla quale ripensiamo al ruolo dei laici nella costruzione della città dell’uomo,  secondo la linea segnata dal Concilio: “spetta a loro di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati”.

Spetta a noi esprimere con idee e progetti una visione della società nella quale sia possibile far convivere le diversità ed integrarle in una prospettiva di bene comune.

In questo ultimo anno il cammino è proseguito con la stesura del documento “Io non mi vergogno del Vangelo” (novembre 2018) quale frutto dell’incontro con don Antonio Cecconi qui svolto il 21 ottobre 2018.

Inoltre ci siamo regalati due occasioni di incontro per altrettante occasioni di riflessione.

La prima, sulla Parola, lasciandoci interpellare dagli scritti e dalla testimonianza di don Lorenzo Milani (maggio 2019)

I nostri vescovi, con la lettera “La forza della Parola” mettono a tema sicuramente la Parola con la P maiuscola ma anche il linguaggio in quanto strumento che veicola contenuti e significati, e nel linguaggio emerge la dignità della persona umana.

Il sacerdote Lorenzo Milani trova nell’impegno educativo il modo proprio, peculiare, di combattere la povertà. Prima a Calenzano e poi a Barbiana vede nella povertà educativa, culturale, la radice di ogni altra povertà e pertanto si prende cura di educare i suoi ragazzi all’uso della parola.

Aprendo il Concilio, anche Papa Giovanni XXIII ricorderà alla Chiesa che non si tratta di rimettere in discussione aspetti dogmatici della fede bensì di dare al Vangelo la capacità di parlare agli uomini e alle donne di oggi, ovvero rimettere in comunicazione la parola con i linguaggi.

Nella comunità educante che è stata Barbiana, i ragazzini e le ragazzine hanno potuto sperimentare un sistema pedagogico valido perché hanno potuto fare esperienza di gioia di conoscenza e gioia di relazioni; in questo sta la vera esperienza di Dio.

Domandiamoci se anche noi possiamo affermare questo; se l’esperienza dell’incontro con Dio mi rende più libero, più felice, più intelligente.

Non c’è dubbio che il mondo, al riguardo, si aspetta da noi cristiani questo tipo di testimonianza, altrimenti non saremo mai eloquenti.

La seconda, il 4 settembre u.s. “Giornata per la cura del creato” ci ha visti instaurare dei primi contatti con le molte realtà ecclesiali e non cui sta a cuore il benessere della “casa comune”.

Ed adesso siamo qui.

Ed è da luoghi come questo che è possibile apprezzare lo sguardo completo sulla realtà che ci circonda e che vediamo, della città.

Guardiamo dall’Alto per entrare meglio in profondità nella realtà delle cose. Guardiamo per comprendere meglio, perché siamo interessati ad approfondire. Approfondiamo, in realtà, ciò che veramente ci sta a cuore. Questo interesse ci dona occhi diversi, occhi nuovi che abilitano una visione oltre il visibile.

Se avrete il desiderio di tornare in questo luogo, ed io vi invito a coltivare questo desiderio, potrete assaporare innanzitutto il silenzio, interrotto magari di tanto in tanto da rumori agricoli; oltre al silenzio potrete assaporare il profumo della natura circostante e quello caratteristico della siepe che circonda il Santuario.

Poi vi renderete conto che il vostro sguardo potrà spaziare a 360° e giungere fino alla linea dell’orizzonte, verso il mare. Nelle belle giornate, su quella linea, vedrete stagliarsi la sagoma della Piazza dei Miracoli.

Poi, guardando verso la città potrete vederla così, un oggetto imponente anche se di dimensioni non grandissime, come adagiata; è la città visibile, osservabile, fatta di costruito, edifici e strutture, le grandi pale eoliche, la grande fabbrica, ma anche le persone fisiche, gli animali, gli oggetti che vi si collocano.

Questa «città visibile», nella sua complessità, è stata oggetto di studi che ne hanno messo in luce le forme di deterioramento interiore: disintegrazione del tessuto sociale con l’affermarsi di individualismo e competitività; situazione di anonimato e perdita del vincolo sociale; distruzione dello spazio pubblico e nascita dello spazio funzionale: nella città moderna il luogo d’abitazione si

riduce a coprire la funzione residenziale; non è più il luogo sulla base del quale si strutturano e si sintetizzano le varie attività umane

Strettamente interconnessa con questa città ne esiste un’altra che non è osservabile con alcun tipo di lunghezza d’onda fisica, ma che produce, causa, costruisce la città visibile. E’ la società urbana con tutte le sue caratteristiche demografiche, economiche, politiche, culturali senza le quali la città non sarebbe così come è perché la città non è un fatto naturale ma un artefatto, prodotto a seguito di determinati processi sociali.

Ma quello che qui incontri è ciò che immagini, lo immagini perché non vedi oltre.

Ecco qui sei invitato ad immaginare.

E’ così che si completa il tuo sguardo, a quello che vedi si aggiunge l’oltre, la vista interiore.

Qui vedi ed immagini; così lo sguardo è completo, totale.

Vedi fabbricati, fabbriche, eliche e immagini case, strade, rotatorie, frazioni, quartieri, scuole, ospedali, musei, uffici, negozi, caserme. E non basta.

Solo andando ancora oltre immagini quella fitta trama di relazioni che lega le persone. La città e la comunità.

Quale che sia la loro provenienza, la città è abitata da persone. Magari anche solo temporaneamente; penso a molti colleghi e colleghe di lavoro che conclusa la giornata lavorativa rientrano nelle loro città di appartenenza. Magari di diocesi diverse dalla nostra.

Le persone appartengono alla città, al territorio e non viceversa.

La nostra riflessione di credenti appartenenti all’Unità pastorale di Pontedera, il nostro costruire oggi una ulteriore riflessione insieme e le proposte che ne potranno scaturire come quelle che si sono originate nei mesi scorsi, si comunicano come invito per contribuire a definire nel concreto percorsi praticabili, persuasivi con l’intenzione di dare volto ad una città dove sia desiderabile vivere. Una comunità esemplare nell’affermare il valore della pace, la giustizia, la legalità, l’inclusione sociale, la giustizia sociale, i valori universali della persona umana attraverso una cittadinanza non violenta, inclusiva.

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Abbiamo letto su “Toscana Oggi” (grazie a Donatella Daini che oggi è qui per le redazioni di Pisa e San Miniato) una recensione del libro di don Giovanni Momigli “La Chiesa nella città”, una recensione del 16 giugno u.s. Ci è piaciuta tanto, era in consonanza con le riflessioni che andavamo facendo dopo la conclusione della maratona elettorale amministrativa che ha visto anche i cittadini di Pontedera chiamati a rinnovare l’amministrazione comunale.

A lui la parola, e dopo il suo intervento si aprirà il dibattito che desideriamo ampio e profondo.

In questa linea offro fin da adesso alcuni sfide da cogliere.

Secondo l’osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, il 61,7 % dei giovani italiani ha fatto esperienza di toni offensivi e violenza verbale online.

Di loro, il 23,8% tutti i giorni o quasi. Questa aggressività non si ritrova solo online, ma anche nei luoghi di lavoro e nelle relazioni di tutti i giorni. C’è un comune sentire che va prendendo piede secondo cui stiamo assistendo a un corto circuito spaventoso, arrivando ad una deriva comunicativa senza precedenti. Ma il linguaggio d’odio non è nelle nostre corde. Quei linguaggi che partono dalla pancia non ci appartengono. Noi preferiamo partire dalla testa e magari parlare un po’ anche con il cuore.

Dobbiamo riconoscere tuttavia che il tema dell’ostilità nel linguaggio è centrale in questo momento storico.

Le parole sono un ponte. Questa immagine già ci guidò lo scorso anno e l’abbiamo voluta inserire anche nel nostro Manifesto.

C’è un grande bisogno di ponti, di idee, di soluzioni che permettano di superare le divisioni, il linguaggio della chiusura e dell’esclusione.

Sono tante le parole che inquinano spesso le nostre relazioni, parole che non riusciamo più a controllare e che ci separano.

Spesso si utilizzano termini che non aiutano a costruire ponti.

Eppure usando le parole giuste, le parole-ponte, possiamo tutti accorciare le distanze.

Accorciare le distanze ci aiuta anche ad assumere uno stile conseguente.

Quale stile dovrebbe caratterizzare la presenza della Chiesa, e della parrocchia in particolare, nella città? A mio parere, per accorciare le distanze, dovrebbe essere sviluppata una presenza accogliente, solidale, umile.

Una presenza accogliente: se l’istituzione parrocchiale non è più sufficiente per comunicare il vangelo nello spazio urbano tuttavia resta, in virtù della sua visibilità, un luogo in cui «chiunque» si può rifugiare, a suo piacimento.

Accoglienza vuol dire attenzione alle persone, autentica apertura verso gli altri, autentico interesse per quel che si è, in uno spirito di gratuità, con il desiderio di ricevere da queste persone qualche cosa del loro itinerario di vita o della loro esperienza di fede. Questa disposizione ad

accogliere è sempre più necessaria, se consideriamo l’individualismo; i nostri contemporanei meritano di essere accolti in ciò che essi vivono, in ciò che essi divengono, in ciò che essi sono. È il primo indice di rispetto che essi possono ricevere dalla comunità.

Claudio

Riflessioni sulla città