Amicizia civica, cittadinanza non violenta

Perché si possa realizzare un gruppo di incontro e di riflessione cristianamente ispirata su tematiche civiche, sociali del nostro tempo e del nostro territorio.

Ci impegniamo per amare il mondo

«Ci impegniamo noi e non gli altri, unicamente noi e non gli altri, né chi sta in alto né chi sta in basso, né chi crede né chi non crede.
Ci impegniamo senza pretendere che altri s’impegnino con noi o per suo conto, come noi o in altro modo.
Ci impegniamo senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna, senza condannare chi non s’impegna, senza cercare perché non s’impegna, senza disimpegnarci perché altri non s’impegnano.
Sappiamo di non poter nulla su alcuno né vogliamo forzar la mano ad alcuno, devoti come siamo e come intendiamo rimanere al libero movimento di ogni spirito.
Noi non possiamo nulla su questa realtà che è il nostro mondo di fuori, poveri come siamo e come intendiamo rimanere.
Se qualche cosa sentiamo di potere — e lo vogliamo fermamente — è su di noi, soltanto su di noi.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi ci mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura, imbarbarisce se scateniamo la belva che è in ognuno di noi.
L’ «ordine nuovo» incomincia se qualcuno si sforza di divenire un «uomo nuovo».
La primavera incomincia con il primo fiore, il giorno con il primo barlume, la notte con la prima stella, il torrente con la prima goccia, il fuoco con la prima scintilla, l’amore con il primo sogno.
Ci impegniamo perché non potremmo non impegnarci.
C’è qualcuno o qualche cosa in noi — un istinto, una ragione, una vocazione, una grazia — più forte di noi stessi.
Nei momenti più gravi ci si orienta dietro richiami che non si sa di preciso donde vengano, ma che costituiscono la più sicura certezza, l’unica certezza nel disorientamento generale.
Lo spirito può aprirsi un varco, attraverso le resistenze del nostro egoismo, anche in questa maniera, disponendoci a quelle nuove continuate obbedienze che possono venire comandate in ognuno dalla coscienza, dalla ragione, dalla fede.
Ci impegnano per trovare un senso alla vita, a questa vita, alla nostra vita, una ragione che non sia una delle tante che ben conosciamo e che non ci prendono il cuore, un utile che non sia una delle solite trappole generosamente offerte ai giovani dalla gente pratica.
Si vive una sola volta e non vogliamo essere giocati in nome di nessun piccolo interesse.
Non c’importa della carriera, né del denaro, né delle donne, specie se soltanto femmine; non c’importa la nostra fortuna né quella delle nostre idee; non c’interessa di passare alla storia (abbiamo il cuore giovane e ci fa paura il freddo della carta e dei marmi); non c’interessa di apparire eroi o traditori davanti agli uomini, ma solo la fedeltà a noi stessi.
C’interessa di perderci per Qualcuno che rimane anche dopo che noi siamo passati e che costituisce la ragione del nostro ritrovarci.
C’interessa di portare un destino eterno nel tempo, di sentirci responsabili di tutto e di tutti, di avviarci, sia pure attraverso lunghi erramenti, verso l’Amore, che diffonde un sorriso di poesia su ogni creatura e che ci fa pensosi davanti a una culla e in attesa davanti a una bara.
Ci impegniamo non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo.
Per amare anche quello che non possiamo accettare, anche quello che non è amabile, anche quello che pare rifiutarsi all’amore perché dietro ogni volto e sotto ogni cuore c’è, insieme a una grande sete d’amore, il volto e il cuore dell’Amore.
Ci impegniamo perché noi crediamo nell’Amore, la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta per impegnarci perdutamente.»

Don Primo Mazzolari


Io non mi vergogno del Vangelo

                                                                                    (Rm 1,16)

Siamo un gruppo di credenti appartenenti all’Unità Pastorale di Pontedera

– un piccolo GRUPPO, certamente, eppure segno concreto della necessità condivisa di pensare la fede;

– CREDENTI, cioè persone conquistate da uno sguardo e che si mettono in cammino; CREDENTI, ovvero persone consapevoli di dover cominciare a credere ogni nuovo giorno;

– UNITA’ PASTORALE, cioè le 5 parrocchie organicamente unificate nell’unica unità pastorale della città. Una realtà che non può esistere solo per decreto vescovile ma che ha necessità di essere concretamente scelta e, gradualmente, attuata da ciascuna comunità parrocchiale.

Ci sentiamo sollecitati a guardare con benevolenza e simpatia questa realtà cittadina, e non un’altra, perché é la realtà nella quale sappiamo di essere chiamati ed attesi a dare sapore di Vangelo.

Il Concilio Vaticano II lo indica chiaramente: “La missione della Chiesa non è soltanto di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, ma anche di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico”.

Desiderando avviare una riflessione cristianamente ispirata, il 21 ottobre u.s. abbiamo promosso un incontro di riflessione e confronto con l’aiuto di don Antonio Cecconi parroco dell’U.P. della Valgraziosa con il tema “Vista dall’Alto – guardare la città con occhi diversi”, iniziando con un esercizio di sguardo della nostra città da un punto panoramico: il Santuario della Madonna di Ripaia a Treggiaia.

L’ampio, articolato, qualificato dibattito che ne è scaturito ha confermato la condivisione di una riflessione che muove e ci porta ad amare il mondo senza giudicarlo, che ci aiuta a meglio ed efficacemente esprimere nella città una presenza amica, una amicizia civica. Credenti che, presenti e visibili, sappiano farsi compagni delle vicende degli altri in un lavoro che si fa condivisione, secondo l’espressione del Concilio, delle ansie e delle speranze dei poveri e di tutti coloro che soffrono. Un lavoro intessuto di una fedeltà quotidiana al magistero della Chiesa, che non ha bisogno di essere continuamente proclamata perché é incessantemente vissuta. Ma, prima ancora, un’azione affidata al lavoro paziente, che ha bisogno di tempi lunghi, della discrezione e del confronto continuo con la Parola di Dio.

Non abbiamo nemici da combattere né concorrenti per i quali gareggiare ma amici e compagni di strada da riconoscere, ed insieme con essi, e facendoci accettare, valorizzare le cose buone e lasciar cadere e disinnescare le cattive.

Siamo consci che non saremo noi a determinare riuscita e successo, che il Signore delle opere e dei giorni, degli uomini e della storia saprà costruire oltre le nostre speranze e dentro i nostri errori.

Per questo ci consideriamo per strada, con poche cose da portare con noi, in ricerca: non abbiamo né pensiamo di trovare ricette esaurienti di chiesa, di società, di movimento cattolico. Manterremo questo spirito di ricerca guardando con sicurezza alle coordinate della fede, saremo ancora inquieti per i nostri ideali, ci misureremo sereni con la nostra coscienza.

Con questo appello che consegniamo alla comunità cristiana e alla città rivolgiamo l’invito sincero agli uomini e alle donne di buona volontà che, condividendo l’appartenenza alla città, desiderino rivitalizzarne il senso di appartenenza. Riteniamo che il taglio ecclesiale non potrà impedire di evidenziare tematiche che stanno a cuore a quanti operano per la pace, la giustizia, la legalità, l’inclusione sociale, la giustizia sociale, i valori universali della persona umana; tutto questo parlando di cittadinanza nonviolenta, città inclusiva.

Ci interessa diffondere l’interesse al bene pubblico e alle istituzioni. Non un generico civismo bensì l’identificazione delle linee importanti di un progetto di una nuova società che meriti di spendere energie, sacrifici, dedizione.

Come cristiani fin dalla II metà del II secolo con “A Diogneto” ci è chiara la responsabilità che abbiamo: non possiamo non impegnarci. Questo nostro impegno non può non indirizzarsi verso una rinnovata partecipazione dei cattolici al consolidamento del tessuto culturale cittadino.

Ecco allora l’invito che viene rivolto alle comunità perché educhino, in base all’etica della responsabilità, “cittadini cristiani”: “Per una evangelizzazione integrale occorre educare alla dimensione socio-politica cristiani che sappiano essere cittadini consapevoli e attivi, che sul territorio facciano la loro parte e non subiscano passivamente gli avvenimenti; lavoratori coscienti e non solo dipendenti; intellettuali che non vivano le loro competenze chiusi nelle élites culturali, ma sappiano portare energie alla ricerca di un futuro più umanizzato; politici non più maestri di tattiche e strategie estranee alla gente, ma che riscoprano idealità e competenze per la costruzione del bene comune che è nelle aspirazioni profonde di tutti”. (Le comunità cristiane educano al sociale e al politico, nota pastorale CEI, 19.3.1998)

In un mondo che sembra prediligere muri e frontiere, Pontedera che trae il suo nome da un ponte ci suggerisce quanto sia importante, anche da un punto di vista simbolico e non solo, l’incontro, il dialogo, la ricerca di quello che ci unisce rispetto a quello che ci divide.

Pontedera, dai allora testimonianza di quanto sia importante l’incontro di tutti i cittadini sui valori condivisi in una logica di fraternità facendoti conoscere, per questo, in tutto il mondo così come sei conosciuta in ogni continente per aver dato i natali alla Vespa e all’industria delle due ruote.

Pontedera, 21 novembre 2018

Per informazioni, contatti, manifestazioni di interesse: Claudio Guidi, Alfonso di Sandro, Mario Barnini, Roberto Vanni, Renato Lemmi, Moreno Caponi.

oppure email: peramareilmondo@gmail.com

Nella pagina allegata si offrono alcuni approfondimenti, tuttavia non è da ritenersi esaustiva della riflessione.


Per un lessico del servizio e della testimonianza

A noi sembra di cogliere alcune urgenze e desideriamo, insieme, tentare di dare risposte; iniziando con il definirne un vocabolario per educarci alla socialità e alla prossimità:

ASCOLTARE la gente, i poveri, igiovani senza diritti per dare loro voce perché cresca la giustizia, lasolidarietà nella reciprocità.

BENE COMUNE costituisce il finedell’organizzazione di ogni società. Secondo l’insegnamento del ConcilioVaticano II: “Il bene comune della società, che è l’insieme di quellecondizioni di vita sociale grazie alle quali gli uomini possono conseguire illoro perfezionamento più pienamente e con maggiore speditezza, consistesoprattutto nel rispetto dei diritti e dei doveri della persona umana”. Laricerca del bene comune si fonda nel riconoscimento della pari dignità di ogniuomo e della sua originaria dimensione sociale, per la quale tutti gli uominisono tra loro interdipendenti e sono pertanto chiamati a collaborare al bene ditutti. (Conc. Vat.II dich. Dignitatis Humanae 6 e GS 26.74).

La rivelazione e la fede cristiana offrono motivazioni e risorse originali per la ricerca del bene comune. La certezza di Dio, Creatore, Padre e Salvatore di ogni uomo, il riconoscimento della libertà personale nell’accoglienza del dono della fede, l’affermazione della responsabilità di ogni uomo verso gli altri uomini, con l’intensità propria della carità evangelica, fanno della ricerca del bene comune da parte del cristiano una doverosa espressione della fraternità umana universale. (Mt 25, 31-46, Lc 10, 29-37, Gv 1,13-34)

Si oppongono alla ricerca del bene comune non solo l’egoismo individuale, ma anche le situazioni economico-sociali nelle quali si sono solidificate ingiustizie, ossia le cosiddette strutture di peccato, che favoriscono gli interessi solo di alcuni a danno degli altri uomini.

BENI COMUNI spazi di unità,materiali: come acqua, aria, paesaggio, spazi urbani, territorio, biblioteche,musei; e immateriali: come legalità, salute, conoscenza, lingua, memoriacollettiva.

EDUCARE A LEGGERE I SEGNI DEI TEMPIoccorre allargare la vista, allargare i nostri orizzonti per renderci conto chei confini non esistono.

GIOVANI sono persone portatrici nonsoltanto di bisogni, ma anche, se non soprattutto, di capacità; sono soggettiattivi della propria crescita e capaci di servizio generoso alla comunità; noiadulti siamo consapevoli che solo dalle nostre scelte di autenticità e dicoerenza essi saranno disposti ancora a lasciarsi sedurre.

IL NUOVO CHE AVANZA è quello chevediamo e desideriamo indicare sapendo che additare le gemme che spuntano suirami vale più che piangere sulle foglie che cadono.

INDIVIDUALISMO è il segno del nostroegoismo, delle nostre chiusure e genera integralismo di ritorno.

SENSO DI APPARTENENZA ALLA COMUNITA’é ciò che desideriamo rivitalizzare; esercizio da compiere permanentementesenza sosta; un livello di guardia da tenere sempre alto.

STILE NUOVO è quello che consente chesulle nostre labbra il lamento prevalga mai sullo stupore, lo sconforto sovrastil’operosità, lo scetticismo schiacci l’entusiasmo, e che la pesantezza delpassato ci impedisca di far credito sul futuro; esercitando l’ottimismo dellavolontà operosa.

TEMPI MIGLIORI sono quelli che osiamoannunciare a dispetto di tante cattiverie e di tanti peccati che invecchiano ilmondo

UNITA’ DEI DISTINTI autenticaidentità del cristiano collocato nel mondo come luogo teologico della suasantificazione.

Il Concilio esorta i cristiani, cittadini dell’una e dell’altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo.

Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno.

A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali.

La dissociazione, che si constata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo.

Contro questo scandalo già nell’Antico Testamento elevavano con veemenza i loro rimproveri i profeti e ancora di più Gesù Cristo stesso, nel Nuovo Testamento, minacciava gravi castighi.

Non si crei perciò un’opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall’altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna.

Gioiscano piuttosto i cristiani, seguendo l’esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio. Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione.

Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale.

Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero.

Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente.

Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall’altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa.

Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.

I laici, che hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a procurare l’animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana. (GS 43)

Quale però la strada da seguire?

“Le comunità cristiane non si propongono come detentrici disoluzioni per ogni problema, ma piuttosto, come compagne di viaggio, intendonosostenere e incoraggiare la ricerca di orientamento e di direzione. Comunità dicristiani adulti che nella complessità imparano a confrontarsi senza fughe; aentrare nel vivo dei problemi analizzandoli nel confronto e nel dialogo, anchenella pluralità delle culture, per individuare inizi di soluzioni. Cristiani chenon si abbandonano al pessimismo sulla tragicità dell’oggi, ma cercano i segnidei tempi in cui sono stati chiamati a vivere, sapendo mettere mano alle cosecon la responsabilità di chi ha imparato a guardarle con la visuale ampia diDio”. (Le comunità cristiane educano al sociale e al politico, notapastorale CEI, 19.3.1998)

(allegato a “Io non mi vergogno del Vangelo, Rm 1,16”)