Manifesto

Qui sotto puoi scaricare il pdf del Manifesto “Per dare sapore di Vangelo alla nostra realtà”.

Con il termine Manifesto abbiamo voluto sottolineare l’espressione di un sentire comune. Il problema quindi non è il numero delle persone che aderiscono, ma la capacità di ritrovarsi su un sentire comune, appunto.

Non è un volantino, che va e viene, “vola” appunto, il nostro Manifesto necessita di riflessione; nella coscienza individuale ciascuno trova una legittima risposta. Se l’obiettivo è aiutare le persone ad agire secondo coscienza, ma occorre tenere presente che cosa dice il Catechismo della Chiesa Cattolica al riguardo.

Il Manifesto è preceduto da uno spartito, la musica richiama sia la melodia che riesce a prodursi, sia il fatto di diversi strumenti suonati da vari suonatori.

Come per incanto dall’unione di diversità, nasce una cosa nuova che sta insieme armonicamente e parla a degli ascoltatori.

Il termine “mondo” da piccoli, probabilmente è stato così per ciascuno di noi, lo abbiamo pronunciato per la prima volta proprio con questa filastrocca, “giro, girotondo, casca il mondo”. E quando lo abbiamo fatto non eravamo soli, la filastrocca ci ha messo insieme ad altri. Ricordate forse di averlo fatto da soli?

Comunque fin da piccoli abbiamo associato gli altri al termine “mondo”, dovevamo metterci in relazione ludica con gli altri.

Quando la filastrocca termina, ci ritroviamo tutti “giù per terra”, da quella posizione ci possiamo guardare agevolmente negli occhi, sono annullate le differenti altezze. Per terra, siamo tutti allo stesso livello.

Poi il Manifesto racconta sinteticamente e schematicamente le motivazioni che ci hanno messo in cammino ed il percorso fatto giungendo a San Benedetto e la doverosa domanda: questo santo oggi che cosa dice all’Europa? E a me?

Raccontare il percorso fatto è molto importante, non è un banale riassunto, è piuttosto andare a comprendere bene il senso di quello che facciamo, senza dare per scontato o implicito niente.

Poi l’altra importante domanda: che fare? Richiama il senso di concretezza che vogliamo dare al nostro cammino, non siamo erranti che vagano senza meta, siamo dei viandanti con una meta ed un Compagno di strada.

Diciamo che occorre guardare il contesto, come abbiamo fatto, per dire se ci piace o no. Oggi mettere i “mi piace” scivola via spesso a cuor leggero. Abbiamo detto che a noi la musica (iniziale spartito) non piace perché è un mondo che gira all’impazzata, e stritola tutti, soprattutto i più deboli.

Facciamo allora una scelta di campo: stiamo dalla parte di Gesù con una fede adulta e pensata e sentire tutta la responsabilità di darne testimonianza.

Allora diciamo: 1. Parola di Dio 2. la relazione, scegliamo di stare insieme, cercando sempre ciò che ci unisce.

Nella parte conclusiva ci rivolgiamo ai singoli, alle associazioni e organismi di partecipazione ecclesiale e il resto come potete vedere.

Il tema è ben chiaro, è PER dare sapore di Vangelo alla nostra realtà. E’ il tema della inculturazione della fede: “innanzitutto il Vangelo, cioè il mistero della salvezza affidato da Cristo alla Chiesa, deve essere predicato agli uomini di ogni cultura” (…) “Per questo compito così elevato risuona sempre la promessa di Gesù “io sono con voi”, là dove la parola e i segni del Vangelo incontrano l’uomo di ogni età, condizione e cultura, “io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” Giovanni Paolo II, inculturazione della fede

Spero che queste “note a margine” del Manifesto siano utili alla comprensione, condivisione, adesione, sua promozione.

Una volta letto puoi decidere di aderire al Manifesto inviando una mail con il tuo nome e cognome a questo indirizzo…

Giro girotondo (Definitivo)


Comboniano

Ogni promessa è debito; avevo promesso che sarei tornato sul Manifesto “per dare sapore di Vangelo alla nostra realtà” per offrire un paio di sottolineature. Ho modo e tempo per farne, intanto, una. D’altra parte non ci rincorre mica nessuno, una cosa alla volta…

Desidero soffermarmi su una parola: comboniano.

Nella stesura del Manifesto è stata inserita questa parola per “completare” la presentazione di Padre Zanotelli, comboniano, appunto.

Cosa significa per me questa parola, questo termine?

E’ un  termine che mi offre l’opportunità di compiere un esercizio della memoria.

Mi comprenderanno meglio gli amici del Consiglio Pastorale parrocchiale. Durante il nostro primo incontro don Giorgio ci ha aiutato a fare l’identikit del “bravo” consigliere.

Tra i connotati che furono elencati in quella occasione, si affermò che il Consiglio ha anche il compito di essere “memoria” nella e della Comunità parrocchiale. Fare memoria, rileggere un fatto, una persona, uno scritto, trasportarlo nel presente, renderlo attuale, vicino; la memoria si sostiene anzitutto sapendo gustare le cose belle che abbiamo ricevuto, sapendo far rivivere i doni che ci sono stati dati.

Ognuno di noi ha bisogno di farsi una memoria viva di tutta la propria storia e ricongiungersi con le proprie radici per crescere armoniosamente e far crescere il dono di Dio. Non si tratta di vivere di passato ma, come recita una preghiera che ci è cara, “prendere il buono del passato e renderlo presente” (preghiera a Maria Madre dei Giovani). Il nostro è un tempo segnato dalla voglia di nuovo, tutto deve cambiare, il passato non serve più a nulla; il futuro non si conosce, dunque non si progetta; solo il presente conta perché lo vivo “io” e lo vivo “adesso”. La stessa frattura tra passato, presente e futuro, c’è tra le generazioni, tra padri e figli. Fare memoria significa riportare armonia in questi contrasti e fare verità. Significa aiutare padri e figli a ritrovarsi e sentire di essere gli uni parte degli altri. È necessario e noi sentiamo di fare tutto il nostro possibile per ricomporre la distanza tra giovani e adulti, per “convertire il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri” (Mal 3,24) perché il bene seminato dagli uni sia portato a compimento dagli altri e insieme possiamo condividere la responsabilità.

Che ci piaccia o no noi siamo intrisi di ricordi impressi nella nostra memoria, che ci seguono anche se li archiviamo. A volte sono ricordi negativi, di cui non vorremmo restasse traccia, invece ritornano e ci sembra si riproducano nel tempo. Se ne facciamo memoria, li rileggiamo, impariamo a fare tesoro della lezione della vita, a volte smettono di sanguinare e ci rivelano un tratto della nostra storia con Dio. Soprattutto, impariamo a fare memoria di tutto ciò che ci ha resi le persone che siamo, a ricostruire la storia di Dio con noi attraverso ciò che ci ha segnato, a riconoscere come alcuni fatti siano stati strumento della pedagogia di Dio per aiutarci a progredire nel nostro cammino. È una rilettura della relazione di ognuno di noi con Dio a livello personale, come famiglia, ma anche con la comunità, con la parrocchia o il gruppo di cui facciamo parte… Come dice il salmo: “Ricordo gli anni lontani… medito e il mio spirito si va interrogando” (Sal 77). (Rosanna Tabasso, Rinascere QUELLO CHE CONTA, rubrica di NUOVO PROGETTO)

Se vado indietro negli anni, molti anni, affiora alla memoria la bella figura di Marina, moglie di Giuseppe Arisio che ogni anno si presentava a casa, sempre in punta di piedi ma con grande convinzione, per raccogliere gli abbonamenti ad un giornalino per ragazzi. Non era Topolino, bensì “Il piccolo missionario”; un giornaletto che, mensilmente, con fumetti e altri racconti portava in casa una serie di storie da terre lontane.

Era una rivista dei Missionari Comboniani. Ogni anno in ottobre si poteva leggere, in quelle pagine, anche l’invio in Africa dei missionari, cui veniva consegnato il crocefisso. E partiva, così, l’operazione “Passare i mari”.

La lettura del giornalino, non troppo assidua a dire il vero, mi ha accompagnato per alcuni anni, fino a quando mi sono ritrovato nella fascia di età non più destinataria di quella “mitica” rivista.

Eppure Marina ogni anno dedicava tempo ed energie a fare su e giù per tante scale, in parrocchia ed in città per aiutare, anche in questo modo, le missioni ed i missionari.

E perché proprio i missionari comboniani?

Marina era originaria di Montecastello, come un suo parente, Padre Tino Belli che era missionario comboniano in Africa.

Quando Padre Tino, di tanto in tanto tornava dai familiari a Montecastello, don Enzo, il parroco di allora, lo invitava per la celebrazione di qualche messa domenicale.

Possiamo immaginare e ricordare quelle omelie, dense di racconti, di usi e costumi a noi sconosciuti, di povertà estrema, di malattie, ma anche di gratitudine per il sostegno che Padre Tino trovava nella sempre presente generosità dei parrocchiani di San Giuseppe.

Ecco perché, nella redazione del Manifesto, per me è stato importante inserire il termine comboniano che specifica un carisma, quello di San Daniele Comboni.

“Precursore, evangelizzatore, profeta, pioniere, gigante missionario, promotore, liberatore, sacerdote e vescovo dal cuore magnanimo che sa perdonare, e specialmente amico dell’Africa, per la quale non esita a sacrificare tutto”. In queste poche righe del cardinale Francis Arinze, già Prefetto della Congregazione per il Culto divino e la disciplina dei Sacramenti, c’è un ritratto fedelissimo di san Daniele Comboni, uno dei più grandi missionari di ogni tempo, al quale l’Africa deve molto del suo presente e del suo futuro.

Chiediamo alSignore di renderci capaci a imprimere nella nostra mente e nel nostro cuorequei ricordi che sanno diventare motivi costanti di gratitudine, di verificadella nostra vita, di contemplazione di quella meta che ci permette di superareogni paura, ogni divisione, ogni stanchezza nel nostro cammino di cristiani,come membri di una comunità del Signore, che sa misurarsi con i problemi e lesfide di oggi e che continua a testimoniare la presenza di Cristo risorto.

25 agosto 2018

Claudio