Una Parola per la vita

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È stato pubblicato il libro “Perchè nulla vada perduto – Il nostro percorso dalla memoria alla speranza”; dalla scorsa settimana pubblico il commento che sui testi (nelle varie liturgie) don Enzo fece negli anni 1995-1996.

Infatti si tratta di letture liturgiche di alcuni giorni domenicali e festivi dei cicli C ed A; l’attuale anno liturgico è quello C, il prossimo sarà quello A.

Un modo come un altro per continuare a farci provocare dalla sua meditazione sui testi sacri; una riflessione acuta e profonda, non meno che puntuale, offerta a noi in modo serio e pacato, come da sua consuetudine.

Claudio


20 ottobre 2019 – XXIX tempo Ordinario

Es 17, 8-13; Sal 120; 2 Tm 3, 14 – 4, 2; Lc 18, 1-8

Là, sul colle, le mani alzate al cielo, Mosè diventa l’immagine della debolezza e della forza del credente. È vecchio: il comando delle schiere d’Israele è già trasferito a Giosuè; il suo corpo si è appesantito ed ha bisogno di una pietra per sedersi; le braccia protese verso Dio diventano di piombo. A Rephidim, forse una località, forse un nome simbolo che evoca la debolezza (rapha) delle mani (yadim) di Israele, quindi la sua insufficienza dinanzi al problema, gli uomini di  Amalek, razziatori del deserto, antagonisti per eccellenza del popolo di Dio, chiamano ad una battaglia decisiva. Ad affrontarli andranno tutti gli uomini validi; è come dire: sarà fatto tutto quanto è possibile fare, eppure non basterà.  Ed ecco la scelta del credente: “… io starò ritto sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio”. Dio ha già espresso la potenza delle sue mani attraverso quel bastone anche difronte ad una certa incredulità. Ora Mosè lo sostiene con tutta la sua fede e il popolo vede il compiersi dell’intercessione ed è aiutato a ricordare e a credere.

E Mosè diventa straordinariamente forte. Noi leggiamo: “…quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte…..le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole….Giosuè sconfisse Amalek..”. E comprendiamo che la possibilità di vincere è affidata ad uno straordinario concorso, così vuole il Signore, tra l’intervento di Dio e la piena disponibilità dell’uomo.

Penso a tante persone “deboli” che con la loro intercessione sostengono il mondo e continuano a rendere vittorioso il cammino del popolo di Dio: agli anziani che passano le giornate snocciolando rosari, magari senza farsi vedere per non essere derisi; agli ammalati che sanno sorridere anche quando vengono considerati pesi inutili; ai contemplativi che nei  monasteri consumano la vita in una preghiera continua; alle mamme che continuano a dire: “Signore, ricordati!”, anche per i figlioli più distratti o lontani. Se questo mondo non avesse questi Mosè, Aronne e Cur, sul suo cammino; se non ci fosse la preghiera in un tempo in cui tutti considerano utile solo l’efficienza delle mani, in un tempo in cui anche i cristiani rischiano di vivere da atei….quante sconfitte!

Il credente sa bene quanto sia fragile la sua avventura se la vive da solo! Il canto del pellegrino, tanto insidiato e tanto sicuro, che la liturgia ci ripropone, dovrebbe diventare la preghiera dei nostri giorni di faticoso deserto.

Proprio alla preghiera perseverante vuole educarci l’evangelista Luca ricordando una parola del Signore. Una preghiera da farsi “sempre”, in ogni momento e in ogni necessità si dovrebbe tradurre il testo originale; “senza stancarsi mai”, superando la delusione che certamente nascerà dal comportamento di Dio che con il suo silenzio purifica la fede fino a farla diventare ostinata, piena.

Ed ecco i due personaggi: la vedova è l’immagine della persona povera, decisa nel chiedere solo perché convinta della bontà della propria domanda e fiduciosa che nessuno possa impedire a Dio di portare a compimento l’opera di giustizia che pure sembra così compromessa dalla storia degli uomini.

Il giudice, uomo senza coscienza, radicalmente ingiusto perché non timorato di Dio, è piegato dall’insistenza e costretto a far giustizia. Si sente nell’agire della povera vedova tutto il disagio dei buoni e degli onesti che hanno l’impressione che Dio resti indifferente dinanzi al quotidiano trionfo dell’ingiustizia. Ma si sente ancor più, e Gesù lo esplicita nel commento finale, un grido di confidenza: se persino un giudice così non può resistere, quanto più Dio che è padre giusto e buono!

E l’insegnamento diventa chiaro: continuate a pregare con insistenza e fiducia perché l’intervento di Dio ci sarà e sarà “pronto”. Il vero problema, conclude l’evangelista, non è se Dio faccia o meno giustizia già sulla terra, ma piuttosto se troverà ancora fede quaggiù. E l’ultima esortazione potrebbe essere espressa così: “Non siate inquieti e scoraggiati perché vi sembra che Dio tardi a portare al compimento la sua opera; preoccupatevi piuttosto della vostra fede”.

don Enzo 

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