Veglia biblica 9 maggio 2020

Comunità parrocchiale San Giuseppe – Pontedera
a cura Azione Cattolica

9 maggio 2020

La Parola della profezia

Il mio servo giustificherà molti

Canto

Cristo è risorto

Introduzione e note

Il tempo che stiamo vivendo ci trova tutti frastornati: ci credevamo onnipotenti, padroni del nostro tempo e non solo di quello, eppure ci siamo dovuti arrestare di fronte ad un nemico invisibile. E’ un nemico invisibile che, però, si rende evidente nelle conseguenze del suo attacco: morte, distanziamento nelle relazioni, impatto devastante nella economia.

Questo nemico, nella sua avanzata non ha incontrato confini geografici, sociali, culturali, di ordinamento politico.

Se è vero, come è vero, che Dio sa trarre il bene anche dal male, anche noi che siamo suoi figli dobbiamo perlomeno provare a fare altrettanto. Così, nella drammaticità della situazione, singoli credenti e comunità abbiamo provato a intravedere i possibili spazi, le possibili feritoie, attraverso cui mantenere, a debita distanza, il nostro peculiare essere “un cuore solo ed un’anima sola” ad immagine della chiesa degli anni apostolici (“La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola”, Atti 4,32).

Anche l’Associazione parrocchiale di Azione Cattolica non si è sottratta a questo esercizio inedito (ed anche per questo non semplice) coltivando i rapporti interpersonali nei modi consentiti senza scartare possibilità alcuna.

Il Percorso biblico che proponiamo da tempo ha subito due pause in altrettante occasioni di preghiera comunitaria (programmate per il 2 e il 30 aprile scorsi); tale preghiera, evidentemente, è stata riversata anche nelle molteplici occasioni che sono state offerte su vari canali televisivi e social.

Mentre stiamo definendo al meglio la presentazione e introduzione alle Lettere ai Galati e ai Romani che si terrà entro la fine del mese di maggio e di cui daremo i dettagli a breve, desideriamo proporre una riflessione su una parte del Libro di Isaia, ovvero i “Canti del Servo sofferente”.

Facciamo questa proposta nello spirito di quanto suggerito dalla Penitenzieria Apostolica (Decreto della Penitenzieria Apostolica circa la concessione di speciali Indulgenze ai fedeli nell’attuale situazione di pandemia) che, lo scorso 19 marzo, tra l’altro concede:

(…) Questa Penitenzieria Apostolica, inoltre, concede volentieri alle medesime condizioni l’Indulgenza plenaria in occasione dell’attuale epidemia mondiale, anche a quei fedeli che offrano la visita al Santissimo Sacramento, o l’adorazione eucaristica, o la lettura delle Sacre Scritture per almeno mezz’ora, o la recita del Santo Rosario o dell’Inno Akàthistos alla Madre di Dio, o il pio esercizio della Via Crucis, o la recita della Coroncina della Divina Misericordia, o dell’Ufficio della Paràklisis alla Madre di Dio o altre forme proprie delle rispettive tradizioni orientali di appartenenza per implorare da Dio Onnipotente la cessazione dell’epidemia, il sollievo per coloro che ne sono afflitti e la salvezza eterna di quanti il Signore ha chiamato a sé.(…)

Non è quindi una Veglia di preghiera come siamo soliti proporre; si tratta, questa volta, di riconoscere ed accogliere l’oscurità che è calata anche sulla nostra realtà ed in essa vigilare, con il sostegno della Parola di Dio:

101Tengo lontano i miei passi da ogni via di male,
per custodire la tua parola.
102Non mi allontano dai tuoi giudizi,
perché sei tu ad istruirmi.
103Quanto sono dolci al mio palato le tue parole:
più del miele per la mia bocca.
104Dai tuoi decreti ricevo intelligenza,
per questo odio ogni via di menzogna.
105Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino. (dal Salmo 119)

La Parola, sembra ricordarci il Salmo, è adatta ad illuminare il cammino e le situazioni, le circostanze, le vicende che siamo chiamati ad abitare e con essa, con la sua luce, procedere senza smarrire la meta.

La proposta che ti facciamo puoi viverla come meglio credi, nel modo che preferisci:

1. ritrovandoci idealmente tutti insieme il giorno 9 maggio  alle 18 oppure

2. puoi lasciarti provocare dalla lettura e riflessione quando vuoi in un’unica occasione o in più occasioni (per esempio, dal momento che i Canti sono 4, distribuirli in altrettanti giorni) o in altro modo.

Gli amici dell’AC parrocchiale


Preghiamo

Signore, Dio della speranza, attraverso tuo Figlio tu hai proclamato beati quei servi che vegliano con fedeltà e speranza:
guarda a noi che nella oscurità cantiamo le tue lodi e meditiamo la tua Parola e concedici di mantenere accese le lampade del nostro amore per incontrare, alla sua venuta, Gesù Cristo, nostro unico Signore.

Amen.

Vogliamo ora metterci in silenzioso e credente ascolto della Parola di Dio. Essa ci rivela la pre­senza di Dio nella storia del mondo: una storia di amore e di salvezza. Di un amore fedele nono­stante le infedeltà dell’uomo e che raggiunge il culmine “nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti”. (Deus Caritas Est). Innanzitutto invochiamo lo Spirito Santo

Invocazione allo Spirito Santo

Vieni Spirito Santo,
apri la nostra mente all’incontro con Gesù,
Parola fatta carne,
e donaci la sapienza del cuore.
Concedi a noi di saperci fermare un istante
ad ascoltare il suono della tua voce,
perché docili alla tua Parola
ci lasciamo purificare e plasmare sull’esempio del Cristo,
e rinnovati nel cuore, possiamo essere testimoni di comunione.
Te lo chiediamo per l’intercessione di Maria,
la Vergine del silenzio e del servizio,
che ha ascoltato la Parola e l’ha custodita nel suo cuore
per farla fruttificare nella carità operosa;
ma soprattutto Te lo chiediamo
per i meriti di Cristo, Parola del Padre,
che vive con Te per i secoli dei secoli.

Amen

L’agnello immolato ci strappò dalla morte

“Molte cose sono state predette dai profeti riguardanti il mistero della Pasqua, che è Cristo, «al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Gal 1, 5, ecc.). Egli scese dai cieli sulla terra per l’umanità sofferente; si rivestì della nostra umanità nel grembo della Vergine e nacque come uomo. Prese su di sé le sofferenze dell’uomo sofferente attraverso il corpo soggetto alla sofferenza, e distrusse le passioni della carne. Con lo Spirito immortale distrusse la morte omicida.

Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come un agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall’Egitto, e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone. Contrassegnò le nostre anime con il proprio Spirito e le membra del nostro corpo con il suo sangue.

Egli è colui che coprì di confusione la morte e gettò nel pianto il diavolo, come Mosè il faraone. Egli è colui che percosse l’iniquità e l’ingiustizia, come Mosè condannò alla sterilità l’Egitto.

Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno. Ha fatto di noi un sacerdozio nuovo e un popolo eletto per sempre. Egli è la Pasqua della nostra salvezza.

Egli è colui che prese su di sé le sofferenze di tutti. Egli è colui che fu ucciso in Abele, e in Isacco fu legato ai piedi. Andò pellegrinando in Giacobbe, e in Giuseppe fu venduto. Fu esposto sulle acque in Mosè, e nell’agnello fu sgozzato.

Fu perseguitato in Davide e nei profeti fu disonorato.

Egli è colui che si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e, risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l’agnello che non apre bocca, egli è l’agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all’uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte. Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto alla decomposizione.

Egli risuscitò dai morti e fece risorgere l’umanità dal profondo del sepolcro.

Dall’«Omelia sulla Pasqua» di Melitone di Sardi, vescovo (Capp. 65-67; SC 123, 95-101)

Il Servo del Signore

All’interno del libro del profeta Isaia si distinguono chiaramente tre parti, di cui la prima (cap. 1-39) è quella propria del profeta Isaia, vissuto nell’VIII sec. a. C., e la seconda (cap. 40-55), ambientata in un quadro storico di quasi due secoli dopo, è quella che contiene i cosiddetti “Canti del Servo”, nei quali i cristiani riconoscono Gesù di Nazaret, Messia, Figlio di Dio e Servo sofferente di Jahvé.

L’orizzonte di consolazione, di attesa di liberazione, di speranza di rinnovamento cantato dal “secondo Isaia” durante l’esilio, è dominato dalla misteriosa figura del “servo del Signore”,innocente e giusto, chiamato a radunare il popolo disperso e ad essere addirittura luce delle genti, ma attraverso una morte violenta che espia i peccati del popolo.

Il Secondo Isaia, un anonimo vissuto negli ultimi decenni dell’esilio babilonese terminato nel 539 a.C., al quale sono attribuiti i capitoli 40-55, è considerato il vertice del profetismo, la cui espressione letteraria e teologica più alta si trova in quattro composizioni poetiche chiamate, come detto, “Canti del Servo”. Questi Canti delineano con gradualità, a iniziare da Isaia 42 fino a Isaia 53, il volto di un uomo chiamato «servo», un titolo onorifico dato a una persona disposta a compiere una missione difficile, ma vantaggiosa per molti. Oggetto della compiacenza di Dio e sostenuto dal suo aiuto, il servo si presenta come una nuova figura di profeta, buono e rispettoso verso i deboli, deciso a non indietreggiare davanti ai potenti.

Chi è questo servo?

È Dio stesso che lo presenta. Non avrà mai un nome, né una genealogia, ma solo un titolo, in ebraico ‘ebed, «Servo del Signore». Non si pensi, però, a un’espressione di inferiorità perché il termine era stato assegnato già ai “grandi” della storia della salvezza, da Abramo a Mosè, da Davide ai profeti e la stessa madre di Cristo, divenuta consapevole della sua missione unica, si autodefinirà «Serva del Signore». Ebbene, all’improvviso, nel capitolo 42 del libro di Isaia – nella sezione opera di un profeta anonimo, posto all’insegna del famoso maestro, così da essere denominato dagli studiosi “il Secondo Isaia” – appare la chiamata di questo misterioso «Servo».

Alcuni lo identificano con il popolo d’Israele, chiamato spesso “servo” del Signore (cf Is 41,8-16; 44,21-23), molti propendono a vedervi una figura storica, l’anonimo profeta che scrive (il secondo Isaia). In ogni modo sono i testi sul servo sofferente e la sua espiazione quelli che Gesù ha evocato ed ha applicato alla sua missione e passione, soprattutto in quella lectio divina che rilegge tutte le Scritture, fatta personalmente da Lui ai due discepoli di Emmaus dopo la risurrezione (Lc 24,25-32.44-46). Dunque, facendoci adesso guidare da questi testi, noi in realtà ci ritroviamo inseriti dentro il cammino della passione, morte e risurrezione di Gesù, il cammino che ognuno di noi è chiamato a ripercorrere, ognuno di noi chiamato ad essere servo, ognuno di noi chiamato ad un servizio della missione che il Signore ci affida, il servizio del progetto di salvezza a cui ognuno di noi deve partecipare, secondo la propria vocazione, secondo il servizio che gli viene richiesto: il comune denominatore di tutti noi è che siamo servi.

Primo canto:
Il Signore presenta il suo Servo (Is. 42, 1-9)

1Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.

2Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,

3non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta.
Proclamerà il diritto con fermezza;

4non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra;
e per la sua dottrina saranno in attesa le isole.

5Così dice il Signore Dio che crea i cieli e li dispiega,
distende la terra con ciò che vi nasce,
da’ il respiro alla gente che la abita
e l’alito a quanti camminano su di essa:

6“Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,

7perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.

8Io sono il Signore: questo è il mio nome;
non cederò la mia gloria ad altri,
né il mio onore agli idoli.

9I primi fatti, ecco, sono avvenuti
e i nuovi io preannunzio;
prima che spuntino,
ve li faccio sentire.

Silenzio

Canone: Nada te turbe
Nada te turbe , nada te espante.
Quien a Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe , nada te espante.
Sòlo Dios  basta.

Niente ti turbi o ti spaventi
chi ha il Signore non manca di nulla.
Niente ti turbi o ti spaventi
solo Dio basta.

1° Momento di lettura per riflettere:

Nel primo canto il “Servo di Dio” è presentato solennemente da Dio come profeta, pieno di Spirito divino e destinato ad insegnare a tutte le genti con amabilità e fermezza. È compassionevole di fronte alla debolezza e fragilità. Ha l’obbligo di ridare vigore e vita.

Ci ritroviamo con le parole che poi verranno utilizzate per il Battesimo di Gesù: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio, ho posto il mio Spirito su di lui, egli porterà il diritto alle nazioni”. Dunque il servo viene investito di una missione particolare al servizio della salvezza. Fin dall’inizio questo servizio della salvezza affidato al servo si presenta come una missione difficile. Dio dice del suo servo: “Egli non griderà, né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità, non verrà meno e non si abbatterà finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, la giustizia di Dio”. Già si allude a una missione che porterà il servo inevitabilmente ad entrare dentro una realtà di male e di violenza,con le canne incrinate, gli stoppini che vengono spenti, dove servirà essere forti, non venir meno. Dovrà combattere il male rinunciando alle armi del male, usando armi diverse, che sono apparentemente armi deboli: dovrà entrare in una dimensione di amore e mitezza.

Questo però inevitabilmente crea una sproporzione assoluta perché la violenza è forza, è potere, ha armi pesanti e il servo dovrà invece combattere e vincere senza violenza, senza potenza, senza la pesantezza delle armi del male, utilizzando i criteri della bontà, del rispetto, criteri che vengono dal desiderio non di distruggere, ma di salvare.

È molto significativo questo fatto: non deve spezzare la canna incrinata, non deve spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta; i criteri del mondo sono diversi: “Se la canna è incrinata, ormai non serve, spezziamola; lo stoppino della candela ormai è smorto, spegniamolo”. Questo è il criterio del mondo. I criteri di Dio, i criteri del servo e quindi i criteri nostri, invece, sono diversi: c’è lo stoppino che ormai si sta spegnendo? Cerchiamo di proteggerlo, cerchiamo di recuperare quel po’ di fiamma che ancora c’è; la canna è incrinata? Cerchiamo di raddrizzarla, facciamo in modo che non si spezzi del tutto. È la volontà di salvare a tutti i costi, appigliandosi a quel poco di bene che c’è; il servo è colui che va a cercare quel po’ di bene che c’è ancora nella realtà per poterla guarire. Il servo è quello che non dice mai: “Basta non c’è più niente da fare, spezziamo la canna”; il servo di Dio non ha mai questo atteggiamento rinunciatario, non dice mai “ormai è inutile”, va in cerca di quel poco di bene, di quel poco di vita, di quel poco che c’è per poter da lì fare salvezza, perché questa è la politica di Dio. Nell’originale ebraico si dice che “non spezzerà la canna incrinata, non spegnerà lo stoppino”e ancora “e lui non si incrinerà, non si spezzerà come la canna e non sarà debole, fumigante”. Quello che viene tradotto in “non verrà meno e non si abbatterà”, in realtà nel testo originale è detto con gli stessi verbi che vengono usati per la canna incrinata e per lo stoppino fumigante; il servo non si incrina, il servo non diventa fumigante pure lui, rispetta la realtà malata allo scopo di guarirla e senza farsene contagiare, con la forza che viene proprio dal fatto di poter affrontare il male con delle armi diverse sapendo che, pur nell’apparente debolezza, quelle armi sono più forti del male. Questa assunzione della realtà malata senza paura di ammalarsi è tipica del servo ed è una manifestazione di forza nell’apparente debolezza. Solo chi è molto forte può avere la pazienza di aspettare, può confrontarsi con il male senza averne paura, può essere paziente, come Dio. Questa è la missione del servo.

Canone: Nada te turbe
Nada te turbe , nada te espante.
Quien a Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe , nada te espante.
Sòlo Dios  basta.

Niente ti turbi o ti spaventi
chi ha il Signore non manca di nulla.
Niente ti turbi o ti spaventi
solo Dio basta.

Secondo canto
Il Servo presenta stesso (Is. 49, 1-7)

1Ascoltatemi, o isole,
udite attentamente, nazioni lontane;
il Signore dal seno materno mi ha chiamato,
fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome.

2Ha reso la mia bocca come spada affilata,
mi ha nascosto all’ombra della sua mano,
mi ha reso freccia appuntita,
mi ha riposto nella sua faretra.

3Mi ha detto: “Mio servo tu sei, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria”.

4Io ho risposto: “Invano ho faticato,
per nulla e invano ho consumato le mie forze.
Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore,
la mia ricompensa presso il mio Dio”.

5Ora disse il Signore
che mi ha plasmato suo servo dal seno materno
per ricondurre a lui Giacobbe
e a lui riunire Israele,
– poiché ero stato stimato dal Signore
e Dio era stato la mia forza –

6mi disse: “È troppo poco che tu sia mio servo
per restaurare le tribù di Giacobbe
e ricondurre i superstiti di Israele.
Ma io ti renderò luce delle nazioni
perché porti la mia salvezza
fino all’estremità della terra”.

7Dice il Signore,
il redentore di Israele, il suo Santo,
a colui la cui vita è disprezzata, al reietto delle nazioni,
al servo dei potenti:
“I re vedranno e si alzeranno in piedi,
i principi vedranno e si prostreranno,
a causa del Signore che è fedele,
a causa del Santo di Israele che ti ha scelto”.

Silenzio

Canone: Nada te turbe
Nada te turbe , nada te espante.
Quien a Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe , nada te espante.
Sòlo Dios  basta.

Niente ti turbi o ti spaventi
chi ha il Signore non manca di nulla.
Niente ti turbi o ti spaventi
solo Dio basta.

2° Momento di lettura per riflettere:

Nel secondo canto, il Servo di Dio presenta se stesso: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato» e preparato con amorevole cura alla missione specifica d’essere «spada affilata» e «freccia appuntita», ossia ad annunciare con forza la sua parola.

Nel secondo canto questa missione del servo si specifica meglio nella linea di una percezione di stare a fare qualche cosa di inutile. Dice il secondo canto: “Ascoltatemi isole, udite attentamente, il Signore mi ha chiamato dal seno materno, fin dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome”; dunque vedete il servo consapevole della propria chiamata: “Il Signore mi ha detto: Mio servo sei tu”; poi però il servo parla della sua esperienza: “E io ho risposto: invano ho faticato, per nulla e vanamente ho consumato le mie forze, però certo il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa è presso il mio Dio”.Il servo per tre volte dice con tre avverbi diversi che quello che sta facendo sembra inutile: invano, per nulla, vanamente.

Questa idea di vuoto, di inutilità, di inconsistenza, di girare a vuoto, vanamente, come se la missione, nel momento in cui il servo la esplicita, gli desse l’impressione di non servire a niente. Fa parte dell’essere servi la percezione che quello che facciamo non serva; perché sembra che noi portiamo avanti discorsi, criteri, logiche, strategie che non sono quelle del mondo, che sembra non sapere che farsene del nostro servizio. Questa idea di inutilità viene anche dal fatto che c’è strutturalmente una inadeguatezza assolutamente tipica del servo nei confronti del suo servizio e nei confronti della sua missione, perché la missione è di Dio e noi siamo inadeguati: i criteri a cui bisogna obbedire sono quelli di Dio, allora noi ci ritroviamo a muoverci su un piano diverso da quello in cui si muovono di solito gli altri, per cui abbiamo l’impressione di ritrovarci sempre a mani vuote perché i risultati del nostro servizio non sono mai verificabili, non si muovono sul piano del successo o del conteggio dei numeri, di quelli che siamo riusciti a convertire; non sono quelli i criteri, perché tutto si svolge dentro le coscienze e quindi nulla è verificabile della positività del nostro lavoro e del nostro servizio: solo Dio lo può verificare e dunque giustamente dice il servo “solo in Lui è la nostra ricompensa”. Quello che avviene in risposta al servizio del Regno, al servizio della salvezza, al servizio del bene non è quantificabile, non è verificabile: si deve lavorare sapendo che c’è chi semina e poi è un altro che raccoglie; se noi seminiamo poi non raccogliamo e non sappiamo dove è caduto il nostro seme, se nella terra buona, se in mezzo alle pietre, se in mezzo alle spine; noi dobbiamo seminare, poi dove cade questo lo sa il Signore e quali frutti ne verranno questo lo sa il Signore. Noi dobbiamo lavorare sapendo che lo sa Lui: noi restiamo sempre a mani vuote, senza mai poter dire “guarda, questo l’ho fatto io”…mai! Perché appena noi lo diciamo, quella missione non è più la missione di Dio, è la nostra e gli uomini delle nostre missioni non sanno proprio che farsene. Riconoscere che la missione è del Signore vuol dire essere servi: in questa esperienza di spossesso radicale, di essere servo di qualche cosa che non è mio, noi possiamo allora davvero dare tutto fino alla fine perché abbiamo la certezza che la ricompensa è nel Signore.

Canone: Nada te turbe
Nada te turbe , nada te espante.
Quien a Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe , nada te espante.
Sòlo Dios  basta.

Niente ti turbi o ti spaventi
chi ha il Signore non manca di nulla.
Niente ti turbi o ti spaventi
solo Dio basta.

Terzo canto
Il Servo, discepolo attento all’ascolto del suo Signore (Is. 50, 4-10)

4Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati,
perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come gli iniziati.

5Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.

6Ho presentato il dorso ai flagellatori,
la guancia a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.

7Il Signore Dio mi assiste,
per questo non resto confuso,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare deluso.

8È vicino chi mi rende giustizia;
chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci.
Chi mi accusa?
Si avvicini a me.

9Ecco, il Signore Dio mi assiste:
chi mi dichiarerà colpevole?
Ecco, come una veste si logorano tutti,
la tignola li divora.

10Chi tra di voi teme il Signore,
ascolti la voce del suo servo!
Colui che cammina nelle tenebre,
senza avere luce,
speri nel nome del Signore,
si appoggi al suo Dio.

Silenzio

Canone: Nada te turbe
Nada te turbe , nada te espante.
Quien a Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe , nada te espante.
Sòlo Dios  basta.

Niente ti turbi o ti spaventi
chi ha il Signore non manca di nulla.
Niente ti turbi o ti spaventi
solo Dio basta.

3° Momento di lettura per riflettere:

Nel terzo canto (50,4-11), il Servo appare come un discepolo attento all’ascolto del suo Signore, per imparare ad «indirizzare allo sfiduciato una parola» di conforto e di speranza. Nel fare questo deve pagare di persona e presentare «il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che gli strappavano la barba, non sottrarre la faccia agli insulti e agli sputi». Il brano è di forte drammaticità.

Una missione che segue questi criteri, che non risponde al male con il male, che accetta di seminare senza sapere, che accetta di andare per strade secondo criteri che sono diversi da quelli del mondo, inevitabilmente il mondo rifiuterà un servizio di questo tipo. Ed ecco allora il terzo canto dove compare la dimensione del rifiuto violento. “Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro, ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mia guance a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”. Il rifiuto prende la dimensione della violenza e della umiliazione: la barba strappata non è solo un gesto di violenza, con cui si infligge sofferenza all’altro, ma è un modo con cui lo si umilia perché la barba era segno di dignità per il mondo antico e per il mondo semitico. E poi gli sputi in faccia sono un gesto di disprezzo e di umiliazione ben comprensibile ormai per tutti. Non è difficile qui riconoscere quello che avviene al Signore Gesù nella Passione, con il dorso flagellato, proprio come quello del servo, e con gli insulti e gli sputi dei soldati che lo prendono in giro e lo umiliano, cercando attraverso l’umiliazione di distruggere l’uomo: la violenza distrugge il corpo, l’umiliazione distrugge lo spirito, la coscienza di sé e quindi il tentativo è veramente quello di mettere radicalmente a tacere questo servo scomodo che porta avanti una missione che il mondo non può riconoscere. Questa reazione violenta rivela, però, anche quanto è grande il bisogno degli uomini e del mondo di essere salvati, quanto è grande il bisogno di questa missione, di questo servizio, di questa salvezza: la reazione violenta di rifiuto rivela che gli uomini a cui il servo è mandato e a cui anche noi siamo mandati sono ormai diventati talmente conniventi con il male che quando viene qualcuno a dire: “Ti vengo a liberare”, reagiscono dicendo: “Liberare da che? Io non ho bisogno di essere liberato”; ”Ma tu sei in prigione, tu sei cieco” e questo casomai viene percepito come un’offesa a cui si reagisce: “Io ci vedo e ci vedo bene”; e ancora: “Ma io vengo a liberarti!” e la risposta: “Ma io sono libero!”. Quando si entra nel male, si arriva ad un tale livello di connivenza con il male che non lo si riesce a riconoscere più come male: non sai più distinguere ciò che è male e ciò che è bene e quindi sei nel male, sei in prigione, sei cieco e invece credi di vederci, credi di essere libero; il male lo chiami bene: questa è la vera malattia, il vero problema dell’uomo per il quale anche noi oggi siamo mandati. Si chiama bene ciò che è male; allora quando vai a dire: “Io vengo a portarti il bene e a levarti dal male ”reagiscono. Ricordiamo quando calano dal tetto il paralitico a Gesù? (Marco 2,1-12) Gesù dice: “Ti son rimessi i tuoi peccati” e reagiscono, perché non hanno capito dov’è il problema della vera liberazione e allora dicono: “No, un momento che stai dicendo? Guarda che questo non cammina. Allora se vuoi far qualcosa fallo camminare”; e Gesù sembra dire: “No, il problema è da un’altra parte e allora, perché si capisca che il problema vero dell’uomo è di essere perdonato, quindi liberato dal male, perché si sappia che io posso perdonare i peccati, allora a desso dico: alzati e cammina, ma la guarigione è un’altra”. Noi siamo davanti ad un mondo che o chiama il male bene e quindi proprio rifiuta radicalmente ogni nostro tentativo di aiuto (nostro, poi, di Dio chiaramente attraverso di noi) oppure chiedono altro, chiedono gambe che camminino, chiedono pane…e va tutto bene, è giusto chiederlo, ma solo se si capisce che rispondere a questo vuol dire portare, oltre alle gambe che camminano e oltre al pane, qualche cosa di cui quel pane è segno, cioè la possibilità di condividere quel pane con i fratelli, la possibilità di aprirsi all’amore, la possibilità di lasciarsi salvare, la possibilità di aprirsi alla fratellanza, la possibilità di aprirsi alla comunione: questa è la vera guarigione. Se il pane lo mangi da solo, ti strozzi; il pane ti nutre quando è pane che tu ricevi e condividi, ma questo è un messaggio difficile e allora il mondo reagisce, con i flagelli egli sputi e tuttavia questo non basta: il servo viene condannato a morte.

Canone: Nada te turbe
Nada te turbe , nada te espante.
Quien a Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe , nada te espante.
Sòlo Dios  basta.

Niente ti turbi o ti spaventi
chi ha il Signore non manca di nulla.
Niente ti turbi o ti spaventi
solo Dio basta.

Quarto canto:
Il Servo subisce una serie agghiacciante di sofferenze (Is. 52,13 – 53,12)

13Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà onorato, esaltato e molto innalzato.

14Come molti si stupirono di lui
– tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –

15così si meraviglieranno di lui molte genti;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.

1Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?

2È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto.

3Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.

5Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci da’ salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.

6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.

7Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.

8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.

9Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.

10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.

11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.

12Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori

Silenzio

Canone: Nada te turbe
Nada te turbe , nada te espante.
Quien a Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe , nada te espante.
Sòlo Dios  basta.

Niente ti turbi o ti spaventi
chi ha il Signore non manca di nulla.
Niente ti turbi o ti spaventi
solo Dio basta.

Salmo 30

1Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.

2In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso;
per la tua giustizia salvami.

3Porgi a me l’orecchio,
vieni presto a liberarmi.
Sii per me la rupe che mi accoglie,
la cinta di riparo che mi salva.

4Tu sei la mia roccia e il mio baluardo,
per il tuo nome dirigi i miei passi.

5Scioglimi dal laccio che mi hanno teso,
perché sei tu la mia difesa.

6Mi affido alle tue mani;
tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.

7Tu detesti chi serve idoli falsi,
ma io ho fede nel Signore.

8Esulterò di gioia per la tua grazia,
perché hai guardato alla mia miseria,
hai conosciuto le mie angosce;

9non mi hai consegnato nelle mani del nemico,
hai guidato al largo i miei passi.

10Abbi pietà di me, Signore, sono nell’affanno;
per il pianto si struggono i miei occhi,
la mia anima e le mie viscere.

11Si consuma nel dolore la mia vita,
i miei anni passano nel gemito;
inaridisce per la pena il mio vigore,
si dissolvono tutte le mie ossa.

12Sono l’obbrobrio dei miei nemici,
il disgusto dei miei vicini,
l’orrore dei miei conoscenti;
chi mi vede per strada mi sfugge.

13Sono caduto in oblio come un morto,
sono divenuto un rifiuto.

14Se odo la calunnia di molti, il terrore mi circonda;
quando insieme contro di me congiurano,
tramano di togliermi la vita.

15Ma io confido in te, Signore;
dico: «Tu sei il mio Dio,

16nelle tue mani sono i miei giorni».
Liberami dalla mano dei miei nemici,
dalla stretta dei miei persecutori:

17fa’ splendere il tuo volto sul tuo servo,
salvami per la tua misericordia.

18Signore, ch’io non resti confuso, perché ti ho invocato;
siano confusi gli empi, tacciano negli inferi.

19Fa’ tacere le labbra di menzogna,
che dicono insolenze contro il giusto
con orgoglio e disprezzo.

20Quanto è grande la tua bontà, Signore!
La riservi per coloro che ti temono,
ne ricolmi chi in te si rifugia
davanti agli occhi di tutti.

21Tu li nascondi al riparo del tuo volto,
lontano dagli intrighi degli uomini;
li metti al sicuro nella tua tenda,
lontano dalla rissa delle lingue.

22Benedetto il Signore,
che ha fatto per me meraviglie di grazia
in una fortezza inaccessibile.

23Io dicevo nel mio sgomento:
«Sono escluso dalla tua presenza».
Tu invece hai ascoltato la voce della mia preghiera
quando a te gridavo aiuto.

24Amate il Signore, voi tutti suoi santi;
il Signore protegge i suoi fedeli
e ripaga oltre misura l’orgoglioso.

25Siate forti, riprendete coraggio,
o voi tutti che sperate nel Signore.

Gloria.

Abbiamo risposto con i versetti del salmo al grandioso testo di Isaia, che sembra piuttosto scritto ai piedi della croce che non profetizzato sei secoli prima. Il profeta sente sconcerto nel narrare le vicende di questo misterioso “servo sofferente”, ma nello stesso tempo c’è un’illuminazione di fede: “Per le sue piaghe siamo stati guariti”. Colmi di gratitudine, anche noi diciamo: “Gesù, ti sei fatto carne di peccato; tu conosci l’umiliazione, l’avvilimento, il prezzo che ci costa peccare. Per questo tu hai pietà di noi quanto nessun altro. Nessuno di noi dispera più, Signore!”.

 4° Momento di lettura per riflettere:

Nel quarto canto, il più lungo, il Servo si staglia in tutta la sua grandezza e subisce una serie agghiacciante di sofferenze, ma l’esito trionfale della sua missione è scontato: «Il mio Servo avrà successo, sarà innalzato, elevato ed esaltato grandemente». I re e i popoli prendono la parola per narrare la sua storia. È un germoglio che spunta nel deserto da una radice secca, simbolo del Messia davidico, umile e disprezzato. Su lui si abbatté un castigo non meritato; egli soffrì e morì per espiare le colpe altrui, come l’agnello del sacrificio. «Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti». Condotto come pecora muta al macello; dopo un’ingiusta sentenza, «fu eliminato dalla terra dei viventi». A questo punto rientra in scena Jahvé per annunciare la vittoria del Servo su ogni nemico. L’affinità del racconto con la tragica fine di Gesù è sorprendente.

Si può affermare che Cristo abbia vissuto la sua passione alla luce di queste parole. E proprio dalla sua morte liberamente accettata sgorga la giustificazione «per i molti». Le scelte di Dio sono sconcertanti: l’onnipotenza rinuncia ad imporsi con la forza e diventa impotenza. Ma il fallimento e la sconfitta, frutto della dedizione a Dio e agli uomini, sono vissuti da Gesù con incrollabile fiducia nella paternità di Dio.

” I testi più importanti per comprendere la passione di Cristo sono certamente i cosiddetti quattro canti del Servo sofferente del Signore, la misteriosa figura annunciata dal profeta Isaia. Da sempre i cristiani hanno confessato che Gesù, il crocifisso risorto, è il Servo del Signore descritto in queste pagine, e non a caso gli strati più antichi della riflessione cristologica del Nuovo Testamento presentano Gesù quale Servo (cf. At 3,13.26; 4,27.30). Un posto di particolare rilievo spetta all’ultimo di questi testi, che costituisce non solo l’apice dei quattro canti, ma anche uno dei luoghi rivelativi più elevati dell’intero Antico Testamento, al punto che la tradizione cristiana lo ha letto come una sorta di «quinto vangelo». Meditando su questo canto essa vi ha colto la dinamica di abbassamento ed esaltazione del Servo Gesù (cf. Fil 2,6-11), vedendovi profeticamente delineato il suo mistero pasquale. Nel Nuovo Testamento si segnalano una cinquantina tra citazioni e allusioni a questo brano. Ne ricordo solo due. Poco prima di essere arrestato, Gesù ha così istruito i suoi discepoli: «Deve compiersi in me questa parola della Scrittura: “E fu annoverato tra i malfattori” (Is 53,12)» (Lc 22,37). E Filippo, interrogato dall’eunuco etiope sull’identità del Servo («Di quale persona il profeta dice questo?»), «partendo da quel passo gli annunciò la buona notizia di Gesù» (At 8,34-35). In breve, leggere questo testo con intelligenza significa contemplare la passione di Cristo prima che avvenga, così come è effettivamente avvenuta: ecco perché la chiesa proclama liturgicamente il brano di Isaia 53 al venerdì santo, nel solenne ufficio in cui fa memoria della passione del Signore.

Merita soffermarsi almeno su un suo versetto: «Al Signore è piaciuto prostrare il Servo con dolori» (Is 53,10). Affermazione che può turbare, lasciandoci sconcertati al pensiero che Dio si compiaccia di far soffrire il proprio Servo. Occorre però comprenderla in profondità, per non rischiare di attribuire a Dio un volto perverso: cosa veramente è piaciuto a Dio? Che il Servo subisse atroci tormenti fino a morirne? Che suo Figlio patisse sulla croce? No, a Dio è piaciuto che il Servo fosse capace di compiere la sua volontà, cioè di «amare fino alla fine» (cf. Gv 13,1), anche a costo di subire una morte ingiusta e ignominiosa! In altre parole, il Servo Gesù non è morto per volontà di Dio, ma è morto perché noi uomini ci siamo scagliati contro di lui, accecati dal nostro egoismo che è giunto fino a una violenza omicida. È una necessitas umana, inscritta nella storia: il giusto dà fastidio, va eliminato, poiché è di inciampo alla logica e all’operato dei malvagi; la sua vita, posta sotto il segno della radicale obbedienza a Dio, è per essi una presenza intollerabile (cf. Sap 2,10-20). Qui sta la responsabilità di noi uomini; a Dio invece è piaciuto l’amore del Servo, fino alla sua capacità di amore per i nemici. È per questo che Bernardo di Clairvaux ha potuto scrivere: «Non la morte del Figlio è piaciuta a Dio, ma la volontà libera del morente, di Gesù».

Sì, Gesù è stato l’uomo che si è caricato delle sofferenze dei fratelli, l’uomo che non si è difeso rispondendo con violenza alla violenza che gli veniva inflitta, ma ha speso la vita per gli altri, offrendo se stesso «fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8). Proprio in questa morte che agli occhi del mondo è una sconfitta consiste la vittoria dell’amore di Gesù, il Servo del Signore crocifisso, «vincitore perché vittima» (Agostino).

Enzo Bianchi

Silenzio

Canone: Nada te turbe
Nada te turbe , nada te espante.
Quien a Dios tiene nada le falta.
Nada te turbe , nada te espante.
Sòlo Dios  basta.

Niente ti turbi o ti spaventi
chi ha il Signore non manca di nulla.
Niente ti turbi o ti spaventi
solo Dio basta.

Conclusione

Questo è il cammino del servo, il cammino del Signore Gesù, il cammino che viene chiesto anche a noi se vogliamo essere servi, chiamati da Dio al suo servizio.

Siamo dunque chiamati a combattere il male con armi diverse dal male, a rispondere al male con il bene anche se questo sembra tanto più debole, anche se questo viene rifiutato, anche se questo apparentemente ci condanna a morte;

chiamati a vivere il nostro servizio in totale inadeguatezza e in totale gratuità con le mani vuote, con le mani aperte, senza pretendere di vedere risultati perché quelli sono lasciati a Dio solo;

chiamati a fronteggiare il rifiuto degli uomini, nella certezza che rispondere con l’amore vince anche il rifiuto e la violenza;

chiamati a intercedere come il servo, perché del servo si dice che ha interceduto per tutti, chiamati a intercedere per quegli stessi che ci stanno rifiutando;

chiamati in definitiva a dare la vita in totale gratuità, senza aspettarci nulla in cambio, pronti persino a dare la vita in quel modo delicato, gratuito, silenzioso che è donare la vita senza neppure pretendere che questo dono sia riconosciuto.

Questo vuol dire essere servi e questo, allora, è il cammino che il profeta Isaia ci indica anche per questo tempo, così da poter, assieme al servo e assieme al Signore Gesù, attraversare il buio per giungere alla luce, per portare la luce a tutti i nostri fratelli, attraversare la morte per accedere alla vita, ad una vita che è vita risorta e che dunque è vita che non muore più.

Canto

È bello lodarti


#iorestoacasamamiguardointorno