Azione di pace in Ucraina, 1 aprile

Accolgo e rilancio l’appello “Stop the war, facciamo la pace” che ha come promotrice e prima firmataria l’Associazione Papa Giovanni XXIII ed ha raccolto l’adesione di un’ampia rappresentanza di realtà ecclesiali e non per la pace, la nonviolenza, il disarmo, la fraternità, la cooperazione, la legalità, i diritti; per saperne di più è sufficiente andare sul sito www.stopthewarnow.eu da cui è tratto anche il testo dell’Appello che riporto qui di seguito.

Anche il Circolo Laudato si’ Pontedera Valdera ha aderito a questo Appello assumendo l’impegno di accompagnare la Carovana della Pace con la Carovana della Preghiera. Individualmente e come realtà associative (le più varie) possiamo e vogliamo rispondere perchè “la pace attende i suoi artefici” e noi siamo consapevoli che adesso ci viene richiesto di compiere la nostra piccola ma non insignificante parte.

La Carovana di preghiera giungerà ben oltre l’Ucraina, si insinuerà prima di tutto nei cuori di chi li desidera pacificati, fino ad arrivare in ogni situazione di conflitto armato e non armato, purtroppo molte in tutto il pianeta.

Claudio


Appello

Le immagini delle vittime, dei bambini terrorizzati o degli anziani spaesati che ci giungono dall’Ucraina e da tutte le altre zone di guerra spesso dimenticate, dilaniano le nostre coscienze. La guerra è una follia, è il cancro della convivenza tra le nazioni e la negazione dell’umanità.

Nel chiedere che si proclami immediatamente il cessate il fuoco, che si dia spazio alla diplomazia internazionale e alle Nazioni Unite per la risoluzione della controversia e che si consenta subito alle organizzazioni umanitarie internazionali di intervenire, ognuno di noi può fare qualcosa di più e di concreto per fermare questo scempio.

Non c’è più tempo! Da sempre siamo accanto agli ultimi, al fianco delle vittime con azioni umanitarie e iniziative di solidarietà internazionale. Vengono momenti in cui però “la pace attende i suoi artefici” e noi non possiamo disattenderla.

Non vogliamo restare spettatori e sentiamo l’obbligo di esporci in prima persona.

Con i rappresentanti della società civile nonviolenta e pacifista e di altre realtà impegnate nella costruzione della pace, entreremo in territorio ucraino per testimoniare con la nostra presenza sul campo la volontà di pace e per permettere a persone con fragilità, madri sole e soprattutto bambini, di lasciare il loro Paese in guerra e raggiungere l’Italia.

Invitiamo pertanto tutte le organizzazioni impegnate per la costruzione della pace e per la solidarietà internazionale a dare la propria adesione, a prendere parte alla delegazione e a promuovere una serie di azioni di mobilitazione.

(tratto da: www.stopthewarnow.eu)


La “carovana di preghiera” a sostegno della carovana di pace

Un altro modo per sostenere la missione di pace è con la preghiera. A chiederlo esplicitamente sono i volontari di Operazione Colomba che dal 15 marzo hanno avviato una presenza a Leopoli e stanno prendendo tutti i contatti necessari per rendere possibile l’arrivo della “carovana di pace”. «Stiamo preparando da giorni questo momento ma la situazione cambia spesso e non possiamo prevedere l’esito della missione – spiega Alberto Capannini -. Qui ci rendiamo conto del fatto che la pace è un valore se garantisce concretamente la vita della gente, è creare le condizioni perché la gente non debba scappare. È come se la guerra rivendicasse questa terra come riservata a chi combatte con le armi. Invece noi stiamo portando una presenza civile, non armata. È una situazione difficile, in momenti come questo si sente particolarmente il bisogno di alimentarsi spiritualmente da una sorgente profonda, forte, altrimenti si rimane schiacciati».
Per questo la Comunità Papa Giovanni XXIII ha organizzato alcuni momenti di preghiera che accompagneranno la carovana di pace con una sorta di “carovana di preghiera” che si ritroverà on line in alcuni momenti condivisi, aperti a chiuque voglia partecipare. (tratto da: Sempre News)

Non stanchiamoci di fare il bene

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
PER LA QUARESIMA 2022

«Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo
a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione,
operiamo il bene verso tutti» (Gal 6,9-10a)

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è tempo favorevole di rinnovamento personale e comunitario che ci conduce alla Pasqua di Gesù Cristo morto e risorto. Per il cammino quaresimale del 2022 ci farà bene riflettere sull’esortazione di San Paolo ai Galati: «Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione (kairós), operiamo il bene verso tutti» (Gal 6,9-10a).

1. Semina e mietitura

In questo brano l’Apostolo evoca l’immagine della semina e della mietitura, tanto cara a Gesù (cfr Mt 13). San Paolo ci parla di un kairós: un tempo propizio per seminare il bene in vista di una mietitura. Cos’è per noi questo tempo favorevole? Certamente lo è la Quaresima, ma lo è anche tutta l’esistenza terrena, di cui la Quaresima è in qualche modo un’immagine. [1] Nella nostra vita troppo spesso prevalgono l’avidità e la superbia, il desiderio di avere, di accumulare e di consumare, come mostra l’uomo stolto della parabola evangelica, il quale riteneva la sua vita sicura e felice per il grande raccolto accumulato nei suoi granai (cfr Lc 12,16-21). La Quaresima ci invita alla conversione, a cambiare mentalità, così che la vita abbia la sua verità e bellezza non tanto nell’avere quanto nel donare, non tanto nell’accumulare quanto nel seminare il bene e nel condividere.

Il primo agricoltore è Dio stesso, che con generosità «continua a seminare nell’umanità semi di bene» (Enc. Fratelli tutti, 54). Durante la Quaresima siamo chiamati a rispondere al dono di Dio accogliendo la sua Parola «viva ed efficace» (Eb 4,12). L’ascolto assiduo della Parola di Dio fa maturare una pronta docilità al suo agire (cfr Gc 1,21) che rende feconda la nostra vita. Se già questo ci rallegra, ancor più grande però è la chiamata ad essere «collaboratori di Dio» (1 Cor 3,9), facendo buon uso del tempo presente (cfr Ef 5,16) per seminare anche noi operando il bene. Questa chiamata a seminare il bene non va vista come un peso, ma come una grazia con cui il Creatore ci vuole attivamente uniti alla sua feconda magnanimità.

E la mietitura? Non è forse la semina tutta in vista del raccolto? Certamente. Il legame stretto tra semina e raccolto è ribadito dallo stesso San Paolo, che afferma: «Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2 Cor 9,6). Ma di quale raccolto si tratta? Un primo frutto del bene seminato si ha in noi stessi e nelle nostre relazioni quotidiane, anche nei gesti più piccoli di bontà. In Dio nessun atto di amore, per quanto piccolo, e nessuna «generosa fatica» vanno perduti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 279). Come l’albero si riconosce dai frutti (cfr Mt 7,16.20), così la vita piena di opere buone è luminosa (cfr Mt 5,14-16) e porta il profumo di Cristo nel mondo (cfr 2 Cor 2,15). Servire Dio, liberi dal peccato, fa maturare frutti di santificazione per la salvezza di tutti (cfr Rm 6,22).

In realtà, ci è dato di vedere solo in piccola parte il frutto di quanto seminiamo giacché, secondo il proverbio evangelico, «uno semina e l’altro miete» (Gv 4,37). Proprio seminando per il bene altrui partecipiamo alla magnanimità di Dio: «È grande nobiltà esser capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina» (Enc. Fratelli tutti, 196). Seminare il bene per gli altri ci libera dalle anguste logiche del tornaconto personale e conferisce al nostro agire il respiro ampio della gratuità, inserendoci nel meraviglioso orizzonte dei benevoli disegni di Dio.

La Parola di Dio allarga ed eleva ancora di più il nostro sguardo: ci annuncia che la mietitura più vera è quella escatologica, quella dell’ultimo giorno, del giorno senza tramonto. Il frutto compiuto della nostra vita e delle nostre azioni è il «frutto per la vita eterna» (Gv 4,36), che sarà il nostro «tesoro nei cieli» (Lc 12,33; 18,22). Gesù stesso usa l’immagine del seme che muore nella terra e fruttifica per esprimere il mistero della sua morte e risurrezione (cfr Gv 12,24); e San Paolo la riprende per parlare della risurrezione del nostro corpo: «È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale» (1 Cor 15,42-44). Questa speranza è la grande luce che Cristo risorto porta nel mondo: «Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1 Cor 15,19-20), affinché coloro che sono intimamente uniti a lui nell’amore, «a somiglianza della sua morte» (Rm 6,5), siano anche uniti alla sua risurrezione per la vita eterna (cfr Gv 5,29): «Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13,43).

2. «Non stanchiamoci di fare il bene»

La risurrezione di Cristo anima le speranze terrene con la «grande speranza» della vita eterna e immette già nel tempo presente il germe della salvezza (cfr Benedetto XVI, Enc. Spe salvi, 3; 7). Di fronte all’amara delusione per tanti sogni infranti, di fronte alla preoccupazione per le sfide che incombono, di fronte allo scoraggiamento per la povertà dei nostri mezzi, la tentazione è quella di chiudersi nel proprio egoismo individualistico e rifugiarsi nell’indifferenza alle sofferenze altrui. Effettivamente, anche le migliori risorse sono limitate: «Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono» (Is 40,30). Ma Dio «dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. […] Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,29.31). La Quaresima ci chiama a riporre la nostra fede e la nostra speranza nel Signore (cfr 1 Pt 1,21), perché solo con lo sguardo fisso su Gesù Cristo risorto (cfr Eb 12,2) possiamo accogliere l’esortazione dell’Apostolo: «Non stanchiamoci di fare il bene» (Gal 6,9).

Non stanchiamoci di pregare. Gesù ha insegnato che è necessario «pregare sempre, senza stancarsi mai» ( Lc 18,1). Abbiamo bisogno di pregare perché abbiamo bisogno di Dio. Quella di bastare a noi stessi è una pericolosa illusione. Se la pandemia ci ha fatto toccare con mano la nostra fragilità personale e sociale, questa Quaresima ci permetta di sperimentare il conforto della fede in Dio, senza la quale non possiamo avere stabilità (cfr Is 7,9). Nessuno si salva da solo, perché siamo tutti nella stessa barca tra le tempeste della storia; [2] ma soprattutto nessuno si salva senza Dio, perché solo il mistero pasquale di Gesù Cristo dà la vittoria sulle oscure acque della morte. La fede non ci esime dalle tribolazioni della vita, ma permette di attraversarle uniti a Dio in Cristo, con la grande speranza che non delude e il cui pegno è l’amore che Dio ha riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr Rm 5,1-5).

Non stanchiamoci di estirpare il male dalla nostra vita. Il digiuno corporale a cui ci chiama la Quaresima fortifichi il nostro spirito per il combattimento contro il peccato. Non stanchiamoci di chiedere perdono nel sacramento della Penitenza e della Riconciliazione, sapendo che Dio mai si stanca di perdonare. [3] Non stanchiamoci di combattere contro la concupiscenza, quella fragilità che spinge all’egoismo e ad ogni male, trovando nel corso dei secoli diverse vie attraverso le quali far precipitare l’uomo nel peccato (cfr Enc. Fratelli tutti, 166). Una di queste vie è il rischio di dipendenza dai media digitali, che impoverisce i rapporti umani. La Quaresima è tempo propizio per contrastare queste insidie e per coltivare invece una più integrale comunicazione umana (cfr ibid., 43) fatta di «incontri reali» ( ibid., 50), a tu per tu.

Non stanchiamoci di fare il bene nella carità operosa verso il prossimo. Durante questa Quaresima, pratichiamo l’elemosina donando con gioia (cfr 2 Cor 9,7). Dio «che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento» (2 Cor 9,10) provvede per ciascuno di noi non solo affinché possiamo avere di che nutrirci, bensì affinché possiamo essere generosi nell’operare il bene verso gli altri. Se è vero che tutta la nostra vita è tempo per seminare il bene, approfittiamo in modo particolare di questa Quaresima per prenderci cura di chi ci è vicino, per farci prossimi a quei fratelli e sorelle che sono feriti sulla strada della vita (cfr Lc 10,25-37). La Quaresima è tempo propizio per cercare, e non evitare, chi è nel bisogno; per chiamare, e non ignorare, chi desidera ascolto e una buona parola; per visitare, e non abbandonare, chi soffre la solitudine. Mettiamo in pratica l’appello a operare il bene verso tutti, prendendoci il tempo per amare i più piccoli e indifesi, gli abbandonati e disprezzati, chi è discriminato ed emarginato (cfr Enc. Fratelli tutti, 193).

3. «Se non desistiamo, a suo tempo mieteremo»

La Quaresima ci ricorda ogni anno che «il bene, come anche l’amore, la giustizia e la solidarietà, non si raggiungono una volta per sempre; vanno conquistati ogni giorno» (ibid., 11). Chiediamo dunque a Dio la paziente costanza dell’agricoltore (cfr Gc 5,7) per non desistere nel fare il bene, un passo alla volta. Chi cade, tenda la mano al Padre che sempre ci rialza. Chi si è smarrito, ingannato dalle seduzioni del maligno, non tardi a tornare a Lui che «largamente perdona» (Is 55,7). In questo tempo di conversione, trovando sostegno nella grazia di Dio e nella comunione della Chiesa, non stanchiamoci di seminare il bene. Il digiuno prepara il terreno, la preghiera irriga, la carità feconda. Abbiamo la certezza nella fede che «se non desistiamo, a suo tempo mieteremo» e che, con il dono della perseveranza, otterremo i beni promessi (cfr Eb 10,36) per la salvezza nostra e altrui (cfr 1 Tm 4,16). Praticando l’amore fraterno verso tutti siamo uniti a Cristo, che ha dato la sua vita per noi (cfr 2 Cor 5,14-15) e pregustiamo la gioia del Regno dei cieli, quando Dio sarà «tutto in tutti» (1 Cor 15,28).

La Vergine Maria, dal cui grembo è germogliato il Salvatore e che custodiva tutte le cose «meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19) ci ottenga il dono della pazienza e ci sia vicina con la sua materna presenza, affinché questo tempo di conversione porti frutti di salvezza eterna.

Roma, San Giovanni in Laterano, 11 novembre 2021, Memoria di San Martino Vescovo.

FRANCESCO

Se vuoi la pace, prepara la pace

Se vuoi la pace, prepara la pace

In Ucraina e nel mondo intero

Comunicato stampa Pax Christi Italia

“ Le persone del nostro Paese e dell’intero pianeta sono in pericolo mortale a causa dello scontro nucleare tra le civiltà dell’Est e dell’Ovest. Dobbiamo fermare l’accumulo di truppe, l’accumulo di armi e equipaggiamento militare in Ucraina e dintorni, il folle lancio di denaro dei contribuenti nella fornace della macchina da guerra invece di risolvere gravi problemi socioeconomici e ambientali. Dobbiamo smettere di assecondare i capricci crudeli dei comandanti militari e degli oligarchi che traggono profitto dallo spargimento di sangue.” “Chiediamo la riduzione e il disarmo globali, lo scioglimento delle alleanze militari, l’eliminazione degli eserciti e dei confini che dividono le persone… di sancire la neutralità del nostro Paese con la Costituzione dell’Ucraina; La guerra è un crimine contro l’umanità. Pertanto, siamo determinati a non sostenere alcun tipo di guerra e a lottare per l’eliminazione di tutte le cause di guerra.”

                Pax Christi Italia  fa proprio  questo appello del Movimento Pacifista Ucraino. Sono voci che si levano da una terra divisa e contesa. Terra di sofferenza, che rischia di essere luogo di scontro tra potenti dove a pagare, come sempre, sono le persone.

Per questo chiediamo all’Italia di essere fedele alla propria Costituzione che ‘ripudia la guerra’, e non far prevalere ‘fedeltà ad alleanze atlantiche” come la Nato.

Sappiamo bene che sono in gioco enormi interessi. Proprio per questo vogliamo ribadire con ancor più fermezza il nostro no alla guerra: alienum est a ratione, (Pacem inTerris)

E’ il tempo della politica vera, del buon senso e del rispetto dei valori umani fondamentali.  “La guerra è la negazione di tutti i diritti” (papa Francesco).

Assistiamo invece a contrapposizioni provocatorie, dichiarazioni e iniziative ‘muscolari’; quasi a cercare ‘l’incidente’ che potrebbe fare da scintilla per il detonatore del conflitto.

Assistiamo ad una folle corsa al riarmo, che non ha conosciuto tregua neanche in questi anni di pandemia. Anzi le spese militari sono aumentate!  E in questo delirio di spese per armamenti è coinvolta direttamente anche l’Italia.  È forse dall’epoca della crisi dei missili a Cuba che il rischio di un nuovo conflitto globale non è stato così palpabile. È un rischio denunciato la settimana scorsa dall’allarmante “100 secondi a mezzanotte” dell’Orologio dell’Apocalisse del Bulletin of Atomic Scientist.

                Pax Christi Italia unisce la propria voce e il proprio impegno a quello di tante donne e uomini,  associazioni, movimenti, italiani, europei e del mondo intero.

                Chiediamo al nostro Governo e all’Europa tutta di prendere iniziative urgenti e significative con una posizione di neutralità attiva, per ottenere una de-escalation immediata della tensione e avviare la ricerca di un accordo politico negoziato nel rispetto della sicurezza e dei diritti di tutte le popolazioni coinvolte, chiarendo la propria indisponibilità a sostenere avventure militari.

A tutti i Paesi coinvolti diciamo: fermatevi!

L’ONU abbia la centralità nella gestione della crisi applicando finalmente la propria Carta Costitutiva in tutti i suoi articoli.

                Alle comunità dei credenti rinnoviamo l’invito alla preghiera incessante per la pace, come abbiamo già fatto lo scorso 26 gennaio.

                Insieme alla preghiera, vogliamo condividere il cammino comune per essere ‘artigiani di pace’ denunciando senza mezzi termini la corsa al riarmo. E guardando all’incontro di vescovi e sindaci del Mediterraneo a Firenze il 26-27 febbraio p.v., che vedrà anche la presenza di papa Francesco, ricordiamo le sue parole, nel precedente incontro a Bari, il 23 febbraio 2020:  “La guerra è un’autentica follia… Non c’è alcuna alternativa sensata alla pace… quando nei convegni internazionali, nelle riunioni, tanti Paesi parlano di pace e poi vendono le armi ai Paesi che sono in guerra. Questo si chiama la grande ipocrisia.”.

Come abbiamo ripetuto in tante occasioni:  “rifiutiamo la guerra, gridiamo la speranza”.

Firenze, 12 febbraio 2022

                                                                                                                              Pax Christi Italia

https://www.paxchristi.it/?p=19289

Custodire ogni vita

MESSAGGIO PER LA 44ª GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA

6 febbraio 2022

CUSTODIRE OGNI VITA

“Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden,

perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).

Al di là di ogni illusione di onnipotenza e autosufficienza, la pandemia ha messo in luce numerose fragilità a livello personale, comunitario e sociale. Non si è trattato quasi mai di fenomeni nuovi; ne emerge però con rinnovata consapevolezza l’evidenza che la vita ha bisogno di essere custodita. Abbiamo capito che nessuno può bastare a sé stesso: “La lezione della recente pandemia, se vogliamo essere onesti, è la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme”(Papa Francesco, Omelia, 20 ottobre 2020). Ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione.

Questo è vero per tutti, ma riguarda in maniera particolare le categorie più deboli, che nella pandemia hanno sofferto di più e che porteranno più a lungo di altre il peso delle conseguenze che tale fenomeno sta comportando.

Il nostro pensiero va innanzitutto alle nuove generazioni e agli anziani. Le prime, pur risultando tra quelle meno colpite dal virus, hanno subito importanti contraccolpi psicologici, con l’aumento esponenziale di diversi disturbi della crescita; molti adolescenti e giovani, inoltre, non riescono tuttora a guardare con fiducia al proprio futuro. Anche le giovani famiglie hanno avuto ripercussioni negative dalla crisi pandemica, come dimostra l’ulteriore picco della denatalità raggiunto nel 2020-2021, segno evidente di crescente incertezza. Tra le persone anziane, vittime in gran numero del Covid-19, non poche si trovano ancora oggi in una condizione di solitudine e paura, faticando a ritrovare motivazioni ed energie per uscire di casa e ristabilire relazioni aperte con gli altri. Quelle poi che vivono una situazione di infermità subiscono un isolamento anche maggiore, nel quale diventa più difficile affrontare con serenità la vecchiaia. Nelle strutture residenziali le precauzioni adottate per preservare gli ospiti dal contagio hanno comportato notevoli limitazioni alle relazioni, che solo ora si vanno progressivamente ripristinando.

Anche le fragilità sociali sono state acuite, con l’aumento delle famiglie – specialmente giovani e numerose – in situazione di povertà assoluta, della disoccupazione e del precariato, della conflittualità domestica. Il Rapporto 2021 di Caritas italiana ha rilevato quasi mezzo milione di nuovi poveri, tra cui emergono donne e giovani, e la presenza di inedite forme di disagio, non tutte legate a fattori economici.

Se poi il nostro sguardo si allarga, non possiamo fare a meno di notare che, come sempre accade, le conseguenze della pandemia sono ancora più gravi nei popoli poveri, ancora assai lontani dal livello di profilassi raggiunto nei Paesi ricchi grazie alla vaccinazione di massa.

Dinanzi a tale situazione, Papa Francesco ci ha offerto San Giuseppe come modello di coloro che si impegnano nel custodire la vita: “Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà” (Patris Corde). Nelle diverse circostanze della sua vicenda familiare, egli costantemente e in molti modi si prende cura delle persone che ha intorno, in obbedienza al volere di Dio. Pur rimanendo nell’ombra, svolge un’azione decisiva nella storia della salvezza, tanto da essere invocato come custode e patrono della Chiesa.

Sin dai primi giorni della pandemia moltissime persone si sono impegnate a custodire ogni vita, sia nell’esercizio della professione, sia nelle diverse espressioni del volontariato, sia nelle forme semplici del vicinato solidale. Alcuni hanno pagato un prezzo molto alto per la loro generosa dedizione. A tutti va la nostra gratitudine e il nostro incoraggiamento: sono loro la parte migliore della Chiesa e del Paese; a loro è legata la speranza di una ripartenza che ci renda davvero migliori.

Non sono mancate, tuttavia, manifestazioni di egoismo, indifferenza e irresponsabilità, caratterizzate spesso da una malintesa affermazione di libertà e da una distorta concezione dei diritti. Molto spesso si è trattato di persone comprensibilmente impaurite e confuse, anch’esse in fondo vittime della pandemia; in altri casi, però, tali comportamenti e discorsi hanno espresso una visione della persona umana e dei rapporti sociali assai lontana dal Vangelo e dallo spirito della Costituzione. Anche la riaffermazione del “diritto all’aborto” e la prospettiva di un referendum per depenalizzare l’omicidio del consenziente vanno nella medesima direzione. “Senza voler entrare nelle importanti questioni giuridiche implicate, è necessario ribadire che non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire, ma il prevalere di una concezione antropologica e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali. […] Chi soffre va accompagnato e aiutato a ritrovare ragioni di vita; occorre chiedere l’applicazione della legge sulle cure palliative e la terapia del dolore” (Card. G. Bassetti, Introduzione ai lavori del Consiglio Episcopale Permanente, 27 settembre 2021). Il vero diritto da rivendicare è quello che ogni vita, terminale o nascente, sia adeguatamente custodita. Mettere termine a un’esistenza non è mai una vittoria, né della libertà, né dell’umanità, né della democrazia: è quasi sempre il tragico esito di persone lasciate sole con i loro problemi e la loro disperazione.

La risposta che ogni vita fragile silenziosamente sollecita è quella della custodia. Come comunità cristiana facciamo continuamente l’esperienza che quando una persona è accolta, accompagnata, sostenuta, incoraggiata, ogni problema può essere superato o comunque fronteggiato con coraggio e speranza.

“Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene” (Papa Francesco, Omelia, 19 marzo 2013).

Le persone, le famiglie, le comunità e le istituzioni non si sottraggano a questo compito, imboccando ipocrite scorciatoie, ma si impegnino sempre più seriamente a custodire ogni vita. Potremo così affermare che la lezione della pandemia non sarà andata sprecata.

Roma, 28 settembre 2021

IL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE

DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La Parola svela Dio e ci porta all’uomo

Domenica della Parola

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Pietro
III Domenica del Tempo Ordinario, 23 gennaio 2022

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Nella prima Lettura e nel Vangelo troviamo due gesti paralleli: il sacerdote Esdra pone in alto il libro della legge di Dio, lo apre e lo proclama davanti a tutto il popolo; Gesù, nella sinagoga di Nazaret, apre il rotolo della Sacra Scrittura e legge un passo del profeta Isaia davanti a tutti. Sono due scene che ci comunicano una realtà fondamentale: al centro della vita del popolo santo di Dio e del cammino della fede non ci siamo noi, con le nostre parole. Al centro c’è Dio con la sua Parola.

Tutto ha avuto inizio dalla Parola che Dio ci ha rivolto. In Cristo, sua Parola eterna, il Padre «ci ha scelti prima della creazione del mondo» (Ef 1,4). Con la sua Parola ha creato l’universo: «Egli parlò e tutto fu creato» (Sal 33,9). Fin dai tempi antichi ci ha parlato per mezzo dei profeti (cfr Eb 1,1); infine, nella pienezza del tempo (cfr Gal 4,4), ha mandato a noi la sua stessa Parola, il Figlio unigenito. Per questo, terminata la lettura di Isaia, Gesù nel Vangelo annuncia qualcosa di inaudito: «Oggi si è compiuta questa Scrittura» (Lc 4,21). Si è compiuta: la Parola di Dio non è più una promessa, ma si è realizzata. In Gesù si è fatta carne. Per opera dello Spirito Santo è venuta ad abitare in mezzo a noi e vuole dimorare in noi, per colmare le nostre attese e sanare le nostre ferite.

Sorelle e fratelli, teniamo lo sguardo fisso su Gesù, come la gente nella sinagoga di Nazaret (cfr v. 20) – lo guardavano, era uno di loro: quale novità? cosa farà, questo, di cui si parla tanto? – e accogliamo la sua Parola. Meditiamone oggi due aspetti tra loro legati: la Parola svela Dio e la Parola ci porta all’uomo. È al centro: svela Dio e ci porta all’uomo.

Anzitutto la Parola svela Dio. Gesù, all’inizio della sua missione, commentando quel determinato passo del profeta Isaia, annuncia una scelta precisa: è venuto per la liberazione dei poveri e degli oppressi (cfr v. 18). Così, proprio attraverso le Scritture, ci svela il volto di Dio come di Colui che si prende cura della nostra povertà ed ha a cuore il nostro destino. Non è un padrone arroccato nei cieli – quell’immagine di Dio brutta, no, non è così – ma un Padre che segue i nostri passi. Non è un freddo osservatore distaccato e impassibile, un Dio “matematico”. È il Dio-con-noi, che si appassiona alla nostra vita e si coinvolge fino a piangere le nostre lacrime. Non è un dio neutrale e indifferente, ma lo Spirito amante dell’uomo, che ci difende, ci consiglia, prende posizione a nostro favore, si mette in gioco, si compromette con il nostro dolore. Sempre è presente lì. Ecco «il lieto annuncio» (v. 18) che Gesù proclama davanti allo sguardo stupito di tutti: Dio è vicino e si vuole prendere cura di me, di te, di tutti. E questo è il tratto di Dio: vicinanza. Lui stesso si definisce così; dice al popolo, nel Deuteronomio: “Quale popolo ha i suoi dèi vicini a sé, come io sono vicino a te?” (cfr Dt 4,7). Il Dio vicino, con quella vicinanza che è compassionevole e tenera, vuole sollevarti dai pesi che ti schiacciano, vuole riscaldare il freddo dei tuoi inverni, vuole illuminare le tue giornate oscure, vuole sostenere i tuoi passi incerti. E lo fa con la sua Parola, con la quale ti parla per riaccendere la speranza dentro le ceneri delle tue paure, per farti ritrovare la gioia nei labirinti delle tue tristezze, per riempire di speranza l’amarezza delle solitudini. Ti fa andare, ma non in un labirinto: ti fa andare nel cammino, per trovarlo di più, ogni giorno.

Fratelli, sorelle, chiediamoci: portiamo dentro al cuore questa immagine liberante di Dio, il Dio vicino, il Dio compassionevole, il Dio tenero? Oppure lo pensiamo come un giudice rigoroso, un rigido doganiere della nostra vita? La nostra è una fede che genera speranza e gioia o – mi domando, tra noi – è ancora zavorrata dalla paura, una fede paurosa? Quale volto di Dio annunciamo nella Chiesa? Il Salvatore che libera e guarisce o il Dio Temibile che schiaccia sotto i sensi di colpa? Per convertirci al vero Dio, Gesù ci indica da dove partire: dalla Parola. Essa, raccontandoci la storia d’amore di Dio per noi, ci libera dalle paure e dai preconcetti su di Lui, che spengono la gioia della fede. La Parola abbatte i falsi idoli, smaschera le nostre proiezioni, distrugge le rappresentazioni troppo umane di Dio e ci riporta al suo volto vero, alla sua misericordia. La Parola di Dio nutre e rinnova la fede: rimettiamola al centro della preghiera e della vita spirituale! Al centro, la Parola che ci rivela come è Dio. La Parola che ci fa vicini a Dio.

E ora il secondo aspetto: la Parola ci porta all’uomo. Ci porta a Dio e ci porta all’uomo. Proprio quando scopriamo che Dio è amore compassionevole, vinciamo la tentazione di chiuderci in una religiosità sacrale, che si riduce a culto esteriore, che non tocca e non trasforma la vita. Questa è idolatria. Idolatria nascosta, idolatria raffinata, ma è idolatria. La Parola ci spinge fuori da noi stessi per metterci in cammino incontro ai fratelli con la sola forza mite dell’amore liberante di Dio. Nella sinagoga di Nazaret Gesù ci rivela proprio questo: Egli è inviato per andare incontro ai poveri – che siamo tutti noi – e liberarli. Non è venuto a consegnare un elenco di norme o ad officiare qualche cerimonia religiosa, ma è sceso sulle strade del mondo a incontrare l’umanità ferita, ad accarezzare i volti scavati dalla sofferenza, a risanare i cuori affranti, a liberarci dalle catene che ci imprigionano l’anima. In questo modo ci rivela qual è il culto più gradito a Dio: prendersi cura del prossimo. E dobbiamo tornare su questo. Nel momento in cui nella Chiesa ci sono le tentazioni della rigidità, che è una perversione, e si crede che trovare Dio è diventare più rigidi, più rigidi, con più norme, le cose giuste, le cose chiare… Non è così. Quando noi vedremo proposte di rigidità, pensiamo subito: questo è un idolo, non è Dio. Il nostro Dio non è così.

Sorelle e fratelli, la Parola di Dio ci cambia – la rigidità non ci cambia, ci nasconde –; la Parola di Dio ci cambia penetrando nell’anima come una spada (cfr Eb 4,12). Perché, se da una parte consola, svelandoci il volto di Dio, dall’altra provoca e scuote, riportandoci alle nostre contraddizioni. Ci mette in crisi. Non ci lascia tranquilli, se a pagare il prezzo di questa tranquillità è un mondo lacerato dall’ingiustizia e dalla fame, e a farne le spese sono sempre i più deboli. Sempre pagano i più deboli. La Parola mette in crisi quelle nostre giustificazioni che fanno dipendere ciò che non va sempre da altro e dagli altri. Quanto dolore sentiamo nel vedere i nostri fratelli e sorelle morire sul mare perché non li lasciano sbarcare! E questo, alcuni lo fanno in nome di Dio. La Parola di Dio ci invita a uscire allo scoperto, a non nasconderci dietro la complessità dei problemi, dietro il “non c’è niente da fare”, “è un problema loro”, “è un problema suo”, o il “che cosa posso farci io?”, “lasciamoli lì”. Ci esorta ad agire, a unire il culto di Dio e la cura dell’uomo. Perché la sacra Scrittura non ci è stata data per intrattenerci, per coccolarci in una spiritualità angelica, ma per uscire incontro agli altri e accostarci alle loro ferite. Ho parlato della rigidità, di quel pelagianesimo moderno, che è una delle tentazioni della Chiesa. E quest’altra, cercare una spiritualità angelica, è un po’ l’altra tentazione di oggi: i movimenti spirituali gnostici, lo gnosticismo, che ti propone una Parola di Dio che ti mette “in orbita” e non ti fa toccare la realtà. La Parola che si è fatta carne (cfr Gv 1,14) vuole diventare carne in noi. Non ci astrae dalla vita, ma ci immette nella vita, nelle situazioni di tutti i giorni, nell’ascolto delle sofferenze dei fratelli, del grido dei poveri, delle violenze e delle ingiustizie che feriscono la società e il pianeta, per non essere cristiani indifferenti, ma operosi, cristiani creativi, cristiani profetici.

«Oggi – dice Gesù – si è compiuta questa Scrittura» (Lc 4,21). La Parola vuole prendere carne oggi, nel tempo che viviamo, non in un futuro ideale. Una mistica francese del secolo scorso, che ha scelto di vivere il Vangelo nelle periferie, ha scritto che la Parola del Signore non è «“lettera morta”: essa è spirito e vita. […] L’acustica che la Parola del Signore esige da noi è il nostro “oggi”: le circostanze della nostra vita quotidiana e le necessità del nostro prossimo» (M. Delbrêl, La gioia di credere, Gribaudi, Milano 1994, 258). Chiediamoci allora: vogliamo imitare Gesù, diventare ministri di liberazione e di consolazione per gli altri, attuare la Parola? Siamo una Chiesa docile alla Parola? Una Chiesa portata all’ascolto degli altri, impegnata a tendere la mano per sollevare i fratelli e le sorelle da ciò che li opprime, per sciogliere i nodi delle paure, liberare i più fragili dalle prigioni della povertà, della stanchezza interiore e dalla tristezza che spegne la vita? Vogliamo questo?

In questa celebrazione alcuni nostri fratelli e sorelle vengono istituiti lettori e catechisti. Sono chiamati al compito importante di servire il Vangelo di Gesù, di annunciarlo affinché la sua consolazione, la sua gioia e la sua liberazione raggiungano tutti. Questa è anche la missione di ciascuno di noi: essere annunciatori credibili, profeti della Parola nel mondo. Perciò, appassioniamoci alla Sacra Scrittura, lasciamoci scavare dentro dalla Parola, che svela la novità di Dio e porta ad amare gli altri senza stancarsi. Rimettiamo la Parola di Dio al centro della pastorale e della vita della Chiesa! Così saremo liberati da ogni pelagianesimo rigido, da ogni rigidità, e saremo liberati dall’illusione di spiritualità che ti mettono “in orbita” senza avere cura dei fratelli e delle sorelle. Rimettiamo la Parola di Dio al centro della pastorale e della vita della Chiesa. Ascoltiamola, preghiamola, mettiamola in pratica.

FRANCESCO

22 gennaio – Italia, cosa aspetti?

Dalla Tavola della Pace e della Cooperazione di Pontedera

domani sabato 22 cade il primo anniversario dell’entrata in vigore del Trattato delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi nucleari (TNPW), a cui, purtroppo, l’Italia non ha ancora aderito. 

Care, cari, 

La Rete Italiana Pace e Disarmo ha programmato per oggi e per domani alcune importanti iniziative per festeggiare la ricorrenza e anche noi possiamo partecipare con molto piacere, per il contributo che abbiamo dato alla campagna “Italia Ripensaci”. Infatti, nei mesi passati, per iniziativa della Tavola, i Consigli dei Comuni della Valdera e di Vicopisano hanno approvando, con l’unanimità di tutti i Gruppi, la petizione della campagna nazionale e, proprio in questi stessi giorni, i Sindaci hanno confermato l’’impegno del Consigli, firmando l’“Appello delle Città”, promosso dall’Associazione internazionale Mayors for Peace, di cui è Presidente il Sindaco di Hiroshima. Possiamo perciò affermare che il nostro territorio vuole la pace, iniziando dalla liberazione del pianeta dalle armi nucleari, la cui produzione e proliferazione costituisce il presupposto di un crescente pericolo di estinzione della specie umana. 

Con il seguente link, si può accedere alla pagina del sito web di Rete Pace e Disarmo, per vedere le iniziative online programmate, oggi venerdì 21 e domani sabato 22, per festeggiare il compleanno:  

Il sussidio per la Domenica della Parola

Il testo che Papa Francesco ha scelto per la Domenica della Parola di Dio 2022 è fortemente espressivo per la vita della comunità cristiana: Beato chi ascolta la Parola di Dio!

L’evangelista Luca inserisce queste parole di Gesù come conclusione di un discorso in cui è possibile vedere ancora una volta uniti l’agire messianico di Gesù e il suo insegnamento.

Il capitolo si apre con la richiesta fatta da un discepolo di insegnare loro a pregare così come anche il Battista aveva fatto con i suoi discepoli. Gesù non si ritrae e insegna la più bella preghiera che tutti i cristiani usano da sempre per riconoscersi in lui come figli di un solo Padre.

Il Padre nostro non è solo la preghiera dei credenti che affermano di avere tramite Gesù un rapporto filiale con Dio; costituisce anche la sintesi dell’essere rinati a una vita nuova dove compiere la volontà del Padre è fonte di salvezza. In una parola è la sintesi dell’intero Vangelo.

Le parole di Gesù invitano quanti pregano con quelle espressioni a lasciarsi coinvolgere in un “noi” indice di una comunità: «Quando pregate, dite» (Lc 11, 2), e lasciano percepire da parte dei suoi discepoli una seria volontà di preghiera come espressione di tutta la loro esistenza. La preghiera, quindi, non è di un momento, ma coinvolge tutta la giornata di un discepolo del Signore. Richiede la gioia dell’incontro e la perseveranza.

Per questo il Signore continua affermando: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Lc 11, 9). Nulla rimane inascoltato presso il Padre quando è richiesto nel nome del Figlio.

La Domenica della Parola di Dio sarà celebrata in tutta la Chiesa il 23 gennaio 2022. Puoi scaricare l’edizione del Sussidio sia in lingua italiana.

(tratto da www.sobicain.org – Centro biblico San Paolo)

Sussidio:

https://www.sobicain.org/wp-content/uploads/2021/12/SussidioDdP2022_Digitale.pdf

Andiamo a “scuola di desiderio”

File:Van Gogh - Starry Night - Google Art Project.jpg
Vincent van Gogh – Notte stellata, 1889

L’omelia che papa Francesco ha proposto alla nostra riflessione, personalmente è piaciuta davvero molto.

Il Papa compie alcuni passi senza “allontanarsi” dal brano evangelico della Solennità. Cita il suo predecessore, una delle sue ultime omelie prima della rinuncia del papato. E successivamente esplicita ciò che desidera: ovvero farci compiere una meditazione.

La riproduzione del dipinto di Van Gogh l’ho ripresa in quanto artista citato testualmente da papa Francesco. Ci prende per mano per invitarci a meditare dandoci lui alcune suggestioni, riflessioni, considerazioni; arriva a parlare della “crisi della fede” ma non vuole rimanere nel generico e nel generale invitandoci: “Guardiamo però soprattutto a noi stessi e chiediamoci”… e via con le proposte di domande e lo sguardo all’esperienza dei magi.

Credo che valga la pena addentrarci in questo esercizio salutare; se compiuto con onestà non potrà arrecarci che dei benefici, fino ad adorare.

Grazie Papa Francesco per il grande dono che ci hai fatto all’inizio di questo nuovo anno.

Claudio


OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Basilica di San Pietro
Giovedì, 6 gennaio 2022

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I magi viaggiano verso Betlemme. Il loro pellegrinaggio parla anche a noi, chiamati a camminare verso Gesù, perché è Lui la stella polare che illumina i cieli della vita e orienta i passi verso la gioia vera. Ma da dove è partito il pellegrinaggio dei magi incontro a Gesù? Che cosa ha mosso questi uomini d’Oriente a mettersi in viaggio?

Avevano ottimi alibi per non partire. Erano sapienti e astrologi, avevano fama e ricchezza. Raggiunta una tale sicurezza culturale, sociale ed economica, potevano accomodarsi su ciò che sapevano e su ciò che avevano, starsene tranquilli. Invece, si lasciano inquietare da una domanda e da un segno: «Dov’è colui che è nato? Abbiamo visto spuntare la sua stella» (Mt 2,2). Il loro cuore non si lascia intorpidire nella tana dell’apatia, ma è assetato di luce; non si trascina stanco nella pigrizia, ma è acceso dalla nostalgia di nuovi orizzonti. I loro occhi non sono rivolti alla terra, ma sono finestre aperte sul cielo. Come ha affermato Benedetto XVI, erano «uomini dal cuore inquieto. […] Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale […]. Erano ricercatori di Dio» (Omelia, 6 gennaio 2013).

Questa sana inquietudine, che li ha portati a peregrinare, da dove nasce? Nasce dal desiderio. Ecco il loro segreto interiore: saper desiderare. Meditiamo su questo. Desiderare significa tenere vivo il fuoco che arde dentro di noi e ci spinge a cercare oltre l’immediato, oltre il visibile. Desiderare è accogliere la vita come un mistero che ci supera, come una fessura sempre aperta che invita a guardare oltre, perché la vita non è “tutta qui”, è anche “altrove”. È come una tela bianca che ha bisogno di ricevere colore. Proprio un grande pittore, Van Gogh, scriveva che il bisogno di Dio lo spingeva a uscire di notte per dipingere le stelle. Sì, perché Dio ci ha fatti così: impastati di desiderio; orientati, come i magi, verso le stelle. Possiamo dire, senza esagerare, che noi siamo ciò che desideriamo. Perché sono i desideri ad allargare il nostro sguardo e a spingere la vita oltre: oltre le barriere dell’abitudine, oltre una vita appiattita sul consumo, oltre una fede ripetitiva e stanca, oltre la paura di metterci in gioco, di impegnarci per gli altri e per il bene. «La nostra vita – diceva Sant’Agostino – è una ginnastica del desiderio» (Trattati sulla prima Lettera di Giovanni, IV, 6.

Fratelli e sorelle, come per i magi, così per noi: il viaggio della vita e il cammino della fede hanno bisogno di desiderio, di slancio interiore. A volte noi viviamo uno spirito di “parcheggio”, viviamo parcheggiati, senza questo slancio del desiderio che ci porta più avanti. Ci fa bene chiederci: a che punto siamo nel viaggio della fede? Non siamo da troppo tempo bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono “lingua morta”, che parla solo di sé stessa e a sé stessa? È triste quando una comunità di credenti non desidera più e, stanca, si trascina nel gestire le cose invece che lasciarsi spiazzare da Gesù, dalla gioia dirompente e scomodante del Vangelo. È triste quando un sacerdote ha chiuso la porta del desiderio; è triste cadere nel funzionalismo clericale, è molto triste.

La crisi della fede, nella nostra vita e nelle nostre società, ha anche a che fare con la scomparsa del desiderio di Dio. Ha a che fare con il sonno dello spirito, con l’abitudine ad accontentarci di vivere alla giornata, senza interrogarci su che cosa Dio vuole da noi. Ci siamo ripiegati troppo sulle mappe della terra e ci siamo scordati di alzare lo sguardo verso il Cielo; siamo sazi di tante cose, ma privi della nostalgia di ciò che ci manca. Nostalgia di Dio. Ci siamo fissati sui bisogni, su ciò che mangeremo e di cui ci vestiremo (cfr Mt 6,25), lasciando evaporare l’anelito per ciò che va oltre. E ci troviamo nella bulimia di comunità che hanno tutto e spesso non sentono più niente nel cuore. Persone chiuse, comunità chiuse, vescovi chiusi, preti chiusi, consacrati chiusi. Perché la mancanza di desiderio porta alla tristezza,all’indifferenza. Comunità tristi, preti tristi, vescovi tristi.

Guardiamo però soprattutto a noi stessi e chiediamoci: come va il viaggio della mia fede? È una domanda che oggi possiamo farci, ognuno di noi. Come va il viaggio della mia fede? È parcheggiata o è in cammino? La fede, per partire e ripartire, ha bisogno di essere innescata dal desiderio, di mettersi in gioco nell’avventura di una relazione viva e vivace con Dio. Ma il mio cuore è ancora animato dal desiderio di Dio? O lascio che l’abitudine e le delusioni lo spengano? Oggi, fratelli e sorelle, è il giorno per fare queste domande. Oggi è il giorno per ritornare ad alimentare il desiderio. E come fare? Andiamo a “scuola di desiderio”, andiamo dai magi. Loro ci insegneranno, nella loro scuola del desiderio. Guardiamo i passi che compiono e traiamo alcuni insegnamenti.

Essi in primo luogo partono al sorgere della stella: ci insegnano che bisogna sempre ripartire ogni giorno, nella vita come nella fede, perché la fede non è un’armatura che ingessa, ma un viaggio affascinante, un movimento continuo e inquieto, sempre alla ricerca di Dio, sempre con il discernimento, in quel cammino.

I magi, poi, a Gerusalemme chiedono: chiedono dov’è il Bambino. Ci insegnano che abbiamo bisogno di interrogativi, di ascoltare con attenzione le domande del cuore, della coscienza; perché è così che spesso parla Dio, il quale si rivolge a noi più con domande che con risposte. E questo dobbiamo impararlo bene: che Dio si rivolge a noi più con domande che con risposte. Ma lasciamoci inquietare anche dagli interrogativi dei bambini, dai dubbi, dalle speranze e dai desideri delle persone del nostro tempo. La strada è lasciarsi interrogare.

Ancora, i magi sfidano Erode. Ci insegnano che abbiamo bisogno di una fede coraggiosa, che non abbia paura di sfidare le logiche oscure del potere e diventi seme di giustizia e di fraternità in società dove, ancora oggi, tanti Erode seminano morte e fanno strage di poveri e di innocenti, nell’indifferenza di molti.

I magi, infine, ritornano «per un’altra strada» (Mt 2,12): ci provocano a percorrere strade nuove. È la creatività dello Spirito, che fa sempre cose nuove. È anche, in questo momento, uno dei compiti del Sinodo che noi stiamo facendo: camminare insieme in ascolto, perché lo Spirito ci suggerisca vie nuove, strade per portare il Vangelo al cuore di chi è indifferente, lontano, di chi ha perduto la speranza ma cerca quello che i magi trovarono, «una gioia grandissima» (Mt 2,10). Uscire oltre, andare avanti.

Al culmine del viaggio dei magi c’è però un momento cruciale: quando arrivano a destinazione “si prostrano e adorano il Bambino” (cfr v. 11). Adorano. Ricordiamoci questo: il viaggio della fede trova slancio e compimento solo alla presenza di Dio. Solo se recuperiamo il gusto dell’adorazione, si rinnova il desiderio. Il desiderio ti porta all’adorazione e l’adorazione ti fa rinnovare il desiderio. Perché il desiderio di Dio cresce solo stando davanti a Dio. Perché solo Gesù risana i desideri. Da che cosa? Li risana dalla dittatura dei bisogni. Il cuore, infatti, si ammala quando i desideri coincidono solo con i bisogni. Dio, invece, eleva i desideri e li purifica, li guarisce, risanandoli dall’egoismo e aprendoci all’amore per Lui e per i fratelli. Per questo non dimentichiamo l’Adorazione, la preghiera di adorazione, che non è tanto comune tra noi: adorare, in silenzio. Per questo, non dimentichiamo l’adorazione, per favore.

E nell’andare così, ogni giorno, avremo la certezza, come i magi, che anche nelle notti più oscure brilla una stella. È la stella del Signore, che viene a prendersi cura della nostra fragile umanità. Mettiamoci in cammino verso di Lui. Non diamo all’apatia e alla rassegnazione il potere di inchiodarci nella tristezza di una vita piatta. Prendiamo l’inquietudine dello Spirito, cuori inquieti. Il mondo attende dai credenti uno slancio rinnovato verso il Cielo. Come i magi, alziamo il capo, ascoltiamo il desiderio del cuore, seguiamo la stella che Dio fa splendere sopra di noi. E come cercatori inquieti, restiamo aperti alle sorprese di Dio. Fratelli e sorelle, sogniamo, cerchiamo, adoriamo.

FRANCESCO

1 gennaio – Giornata Mondiale della Pace

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO

PER LA LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2022

Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro:
strumenti per edificare una pace duratura

1. «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7).

Le parole del profeta Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato, sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte. Su di esso il profeta Baruc si interrogava: «Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?» (3,10-11). Per questa gente, l’avvento del messaggero di pace significava la speranza di una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso.

Ancora oggi, il cammino della pace, che San Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo integrale, rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa. Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace.

In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati.

Vorrei qui proporre tre vie per la costruzione di una pace duratura. Anzitutto, il dialogo tra le generazioni, quale base per la realizzazione di progetti condivisi. In secondo luogo, l’educazione, come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo. Infine, il lavoro per una piena realizzazione della dignità umana. Si tratta di tre elementi imprescindibili per «dare vita ad un patto sociale», senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente.

2. Dialogare fra generazioni per edificare la pace

In un mondo ancora stretto dalla morsa della pandemia, che troppi problemi ha causato, «alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati e altri la affrontano con violenza distruttiva, ma tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni».

Ogni dialogo sincero, pur non privo di una giusta e positiva dialettica, esige sempre una fiducia di base tra gli interlocutori. Di questa fiducia reciproca dobbiamo tornare a riappropriarci! L’attuale crisi sanitaria ha amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi. Alle solitudini degli anziani si accompagna nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea condivisa di futuro. Tale crisi è certamente dolorosa. In essa, però, può esprimersi anche il meglio delle persone. Infatti, proprio durante la pandemia abbiamo riscontrato, in ogni parte del mondo, testimonianze generose di compassione, di condivisione, di solidarietà.

Dialogare significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo tra le generazioni vuol dire dissodare il terreno duro e sterile del conflitto e dello scarto per coltivarvi i semi di una pace duratura e condivisa.

Mentre lo sviluppo tecnologico ed economico ha spesso diviso le generazioni, le crisi contemporanee rivelano l’urgenza della loro alleanza. Da un lato, i giovani hanno bisogno dell’esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli anziani; dall’altro, gli anziani necessitano del sostegno, dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani.

Le grandi sfide sociali e i processi di pacificazione non possono fare a meno del dialogo tra i custodi della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani –; e neanche della disponibilità di ognuno a fare spazio all’altro, a non pretendere di occupare tutta la scena perseguendo i propri interessi immediati come se non ci fossero passato e futuro. La crisi globale che stiamo vivendo ci indica nell’incontro e nel dialogo fra le generazioni la forza motrice di una politica sana, che non si accontenta di amministrare l’esistente «con rattoppi o soluzioni veloci», ma che si offre come forma eminente di amore per l’altro, nella ricerca di progetti condivisi e sostenibili.

Se, nelle difficoltà, sapremo praticare questo dialogo intergenerazionale «potremo essere ben radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare il passato e il futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri». Senza le radici, come potrebbero gli alberi crescere e produrre frutti?

Basti pensare al tema della cura della nostra casa comune. L’ambiente stesso, infatti, «è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva». Vanno perciò apprezzati e incoraggiati i tanti giovani che si stanno impegnando per un mondo più giusto e attento a salvaguardare il creato, affidato alla nostra custodia. Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo, soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, che ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e socio-ambientale.

D’altronde, l’opportunità di costruire assieme percorsi di pace non può prescindere dall’educazione e dal lavoro, luoghi e contesti privilegiati del dialogo intergenerazionale. È l’educazione a fornire la grammatica del dialogo tra le generazioni ed è nell’esperienza del lavoro che uomini e donne di generazioni diverse si ritrovano a collaborare, scambiando conoscenze, esperienze e competenze in vista del bene comune.

3. L’istruzione e l’educazione come motori della pace

Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile e sono indispensabili per la difesa e la promozione della pace. In altri termini, istruzione ed educazione sono le fondamenta di una società coesa, civile, in grado di generare speranza, ricchezza e progresso.

Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della “guerra fredda”, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante.

È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via.

Auspico che all’investimento sull’educazione si accompagni un più consistente impegno per promuovere la cultura della cura. Essa, di fronte alle fratture della società e all’inerzia delle istituzioni, può diventare il linguaggio comune che abbatte le barriere e costruisce ponti. «Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media». È dunque necessario forgiare un nuovo paradigma culturale, attraverso «un patto educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature». Un patto che promuova l’educazione all’ecologia integrale, secondo un modello culturale di pace, di sviluppo e di sostenibilità, incentrato sulla fraternità e sull’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente.

Investire sull’istruzione e sull’educazione delle giovani generazioni è la strada maestra che le conduce, attraverso una specifica preparazione, a occupare con profitto un giusto posto nel mondo del lavoro.

4. Promuovere e assicurare il lavoro costruisce la pace

Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello.

La pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione del mondo del lavoro, che stava già affrontando molteplici sfide. Milioni di attività economiche e produttive sono fallite; i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili; molti di coloro che svolgono servizi essenziali sono ancor più nascosti alla coscienza pubblica e politica; l’istruzione a distanza ha in molti casi generato una regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre, i giovani che si affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione affrontano oggi prospettive drammatiche.

In particolare, l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i lavoratori migranti, è stato devastante. Molti di loro non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero; vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga. A ciò si aggiunga che attualmente solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale, o può usufruirne solo in forme limitate. In molti Paesi crescono la violenza e la criminalità organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo che si sviluppi il bene comune. La risposta a questa situazione non può che passare attraverso un ampliamento delle opportunità di lavoro dignitoso.

Il lavoro infatti è la base su cui costruire la giustizia e la solidarietà in ogni comunità. Per questo, «non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale». Dobbiamo unire le idee e gli sforzi per creare le condizioni e inventare soluzioni, affinché ogni essere umano in età lavorativa abbia la possibilità, con il proprio lavoro, di contribuire alla vita della famiglia e della società.

È più che mai urgente promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato. Occorre assicurare e sostenere la libertà delle iniziative imprenditoriali e, nello stesso tempo, far crescere una rinnovata responsabilità sociale, perché il profitto non sia l’unico criterio-guida.

In questa prospettiva vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative che, a tutti i livelli, sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di lavoratrici e lavoratori, sensibilizzando in tal senso non solo le istituzioni, ma anche i consumatori, la società civile e le realtà imprenditoriali. Queste ultime, quanto più sono consapevoli del loro ruolo sociale, tanto più diventano luoghi in cui si esercita la dignità umana, partecipando così a loro volta alla costruzione della pace. Su questo aspetto la politica è chiamata a svolgere un ruolo attivo, promuovendo un giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale. E tutti coloro che operano in questo campo, a partire dai lavoratori e dagli imprenditori cattolici, possono trovare sicuri orientamenti nella dottrina sociale della Chiesa.

Cari fratelli e sorelle! Mentre cerchiamo di unire gli sforzi per uscire dalla pandemia, vorrei rinnovare il mio ringraziamento a quanti si sono impegnati e continuano a dedicarsi con generosità e responsabilità per garantire l’istruzione, la sicurezza e la tutela dei diritti, per fornire le cure mediche, per agevolare l’incontro tra familiari e ammalati, per garantire sostegno economico alle persone indigenti o che hanno perso il lavoro. E assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutte le vittime e le loro famiglie.

Ai governanti e a quanti hanno responsabilità politiche e sociali, ai pastori e agli animatori delle comunità ecclesiali, come pure a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, faccio appello affinché insieme camminiamo su queste tre strade: il dialogo tra le generazioni, l’educazione e il lavoro. Con coraggio e creatività. E che siano sempre più numerosi coloro che, senza far rumore, con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace. E che sempre li preceda e li accompagni la benedizione del Dio della pace!

Dal Vaticano, 8 dicembre 2021


Francesco

Testo del Messaggio

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