La morte non è mai una soluzione

Ecco il Messaggio che il Consiglio Episcopale Permanente della CEI ha preparato per la 45ª Giornata Nazionale per la Vita, che si celebra il 5 febbraio 2023 sul tema «La morte non è mai una soluzione. “Dio ha creato tutte le cose perché esistano; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte” (Sap 1,14)».

  1. Il diffondersi di una “cultura di morte”

In questo nostro tempo, quando l’esistenza si fa complessa e impegnativa, quando sembra che la sfida sia insuperabile e il peso insopportabile, sempre più spesso si approda a una “soluzione” drammatica: dare la morte. Certamente a ogni persona e situazione sono dovuti rispetto e pietà, con quello sguardo carico di empatia e misericordia che scaturisce dal Vangelo. Siamo infatti consapevoli che certe decisioni maturano in condizioni di solitudine, di carenza di cure, di paura dinanzi all’ignoto… È il mistero del male che tutti sgomenta, credenti e non. Ciò, tuttavia, non elimina la preoccupazione che nasce dal constatare come il produrre morte stia progressivamente diventando una risposta pronta, economica e immediata a una serie di problemi personali e sociali. Tanto più che dietro tale “soluzione” è possibile riconoscere importanti interessi economici e ideologie che si spacciano per ragionevoli e misericordiose, mentre non lo sono affatto.
Quando un figlio non lo posso mantenere, non l’ho voluto, quando so che nascerà disabile o credo che limiterà la mia libertà o metterà a rischio la mia vita… la soluzione è spesso l’aborto.
Quando una malattia non la posso sopportare, quando rimango solo, quando perdo la speranza, quando vengono a mancare le cure palliative, quando non sopporto veder soffrire una persona cara… la via d’uscita può consistere nell’eutanasia o nel “suicidio assistito”.
Quando la relazione con il partner diventa difficile, perché non risponde alle mie aspettative… a volte l’esito è una violenza che arriva a uccidere chi si amava – o si credeva di amare –, sfogandosi persino sui piccoli e all’interno delle mura domestiche.
Quando il male di vivere si fa insostenibile e nessuno sembra bucare il muro della solitudine… si finisce non di rado col decidere di togliersi la vita.
Quando l’accoglienza e l’integrazione di chi fugge dalla guerra o dalla miseria comportano problemi economici, culturali e sociali… si preferisce abbandonare le persone al loro destino, condannandole di fatto a una morte ingiusta.
Quando si acuiscono le ragioni di conflitto tra i popoli… i potenti e i mercanti di morte ripropongono sempre più spesso la “soluzione” della guerra, scegliendo e propagandando il linguaggio devastante delle armi, funzionale soprattutto ai loro interessi.
Così, poco a poco, la “cultura di morte” si diffonde e ci contagia.

  1. Per una “cultura di vita”

Il Signore crocifisso e risorto – ma anche la retta ragione – ci indica una strada diversa: dare non la morte ma la vita, generare e servire sempre la vita. Ci mostra come sia possibile coglierne il senso e il valore anche quando la sperimentiamo fragile, minacciata e faticosa. Ci aiuta ad accogliere la drammatica prepotenza della malattia e il lento venire della morte, schiudendo il mistero dell’origine e della fine. Ci insegna a condividere le stagioni difficili della sofferenza, della malattia devastante, delle gravidanze che mettono a soqquadro progetti ed equilibri… offrendo relazioni intrise di amore, rispetto, vicinanza, dialogo e servizio. Ci guida a lasciarsi sfidare dalla voglia di vivere dei bambini, dei disabili, degli anziani, dei malati, dei migranti e di tanti uomini e donne che chiedono soprattutto rispetto, dignità e accoglienza. Ci esorta a educare le nuove generazioni alla gratitudine per la vita ricevuta e all’impegno di custodirla con cura, in sé e negli altri. Ci muove a rallegrarci per i tanti uomini e le donne, credenti di tutte le fedi e non credenti, che affrontano i problemi producendo vita, a volte pagando duramente di persona il loro impegno; in tutti costoro riconosciamo infatti l’azione misteriosa e vivificante dello Spirito, che rende le creature “portatrici di salvezza”. A queste persone e alle tante organizzazioni schierate su diversi fronti a difesa della vita va la nostra riconoscenza e il nostro incoraggiamento.

Ma poi, dare la morte funziona davvero?

D’altra parte, è doveroso chiedersi se il tentativo di risolvere i problemi eliminando le persone sia davvero efficace.
Siamo sicuri che la banalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza elimini la ferita profonda che genera nell’animo di molte donne che vi hanno fatto ricorso? Donne che, in moltissimi casi, avrebbero potuto essere sostenute in una scelta diversa e non rimpianta, come del resto prevedrebbe la stessa legge 194 all’art.5. È questa la consapevolezza alla base di un disagio culturale e sociale che cresce in molti Paesi e che, al di là di indebite polarizzazioni ideologiche, alimenta un dibattito profondo volto al rinnovamento delle normative e al riconoscimento della preziosità di ogni vita, anche quando ancora celata agli occhi: l’esistenza di ciascuno resta unica e inestimabile in ogni sua fase.
Siamo sicuri che il suicidio assistito o l’eutanasia rispettino fino in fondo la libertà di chi li sceglie – spesso sfinito dalla carenza di cure e relazioni – e manifestino vero e responsabile affetto da parte di chi li accompagna a morire?
Siamo sicuri che la radice profonda dei femminicidi, della violenza sui bambini, dell’aggressività delle baby gang… non sia proprio questa cultura di crescente dissacrazione della vita?
Siamo sicuri che dietro il crescente fenomeno dei suicidi, anche giovanili, non ci sia l’idea che “la vita è mia e ne faccio quello che voglio?”
Siamo sicuri che la chiusura verso i migranti e i rifugiati e l’indifferenza per le cause che li muovono siano la strategia più efficace e dignitosa per gestire quella che non è più solo un’emergenza?
Siamo sicuri che la guerra, in Ucraina come nei Paesi dei tanti “conflitti dimenticati”, sia davvero capace di superare i motivi da cui nasce? «Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione» (Francesco, Omelia al sacrario di Redipuglia, 13 settembre 2014).

  1. La “cultura di morte”: una questione seria

Dare la morte come soluzione pone una seria questione etica, poiché mette in discussione il valore della vita e della persona umana. Alla fondamentale fiducia nella vita e nella sua bontà – per i credenti radicata nella fede – che spinge a scorgere possibilità e valori in ogni condizione dell’esistenza, si sostituisce la superbia di giudicare se e quando una vita, foss’anche la propria, risulti degna di essere vissuta, arrogandosi il diritto di porle fine. Desta inoltre preoccupazione il constatare come ai grandi progressi della scienza e della tecnica, che mettono in condizione di manipolare ed estinguere la vita in modo sempre più rapido e massivo, non corrisponda un’adeguata riflessione sul mistero del nascere e del morire, di cui non siamo evidentemente padroni. Il turbamento di molti dinanzi alla situazione in cui tante persone e famiglie hanno vissuto la malattia e la morte in tempo di Covid ha mostrato come un approccio meramente funzionale a tali dimensioni dell’esistenza risulti del tutto insufficiente. Forse è perché abbiamo perduto la capacità di comprendere e fronteggiare il limite e il dolore che abitano l’esistenza, che crediamo di porvi rimedio attraverso la morte?

  1. Rinnovare l’impegno

La Giornata per la vita rinnovi l’adesione dei cattolici al “Vangelo della vita”, l’impegno a smascherare la “cultura di morte”, la capacità di promuovere e sostenere azioni concrete a difesa della vita, mobilitando sempre maggiori energie e risorse. Rinvigorisca una carità che sappia farsi preghiera e azione: anelito e annuncio della pienezza di vita che Dio desidera per i suoi figli; stile di vita coniugale, familiare, ecclesiale e sociale, capace di seminare bene, gioia e speranza anche quando si è circondati da ombre di morte.

Roma, 21 settembre 2022

IL CONSIGLIO PERMANENTE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

“Vi annunciamo ciò che abbiamo veduto” – 1Gv 1,3

A partire dal 2020, la III Domenica del Tempo Ordinario è «dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio. Questa Domenica della Parola di Dio verrà così a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani. Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida». Come si legge in “Aperuit Illis“, Lettera Apostolica in forma di “Motu Proprio” che il Santo Padre ha diffuso il 30 settembre 2019, Memoria liturgica di San Girolamo nell’inizio del 1600° anniversario della morte.


Insieme nella Luce della Parola

di Laura Palladino

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Matteo 4,18-19

Il tema della Luce, che ci ha accompagnati nel tempo di Natale, è filo conduttore delle liturgie che aprono il Tempo Ordinario: in questa III Domenica, dedicata alla Parola di Dio, collocata nel cuore della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, emerge fortemente che solo Cristo è la Luce che rischiara l’esistenza di ogni uomo, solo Lui è la Parola che ci trasforma dal profondo e ci dona la Pace e la Gioia vere, mentre noi troppo spesso le cerchiamo altrove, dove non possiamo trovarle, perché «il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Lui» (cfr. Agostino, Confessioni).

Ricorre nella I lettura la profezia esultante di Isaia, che abbiamo ascoltato nella Messa della notte di Natale: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce»; «hai moltiplicato la gioia»; «gioiscono davanti a te», «perché tu hai spezzato il giogo che opprimeva». Fa eco il Salmo 26 (Responsorio): «Il Signore è mia luce e mia salvezza, è difesa della mia vita: di chi avrò paura?». Cristo vince, solo l’incontro con Lui dà pienezza, la stessa che vivono i quattro apostoli nel Vangelo (Matteo 4): Gesù cammina lungo il mare di Galilea (si tratta di un territorio pagano, come chiarisce l’evangelista citando il passo di Isaia, secondo il suo stile che, rimandando all’Antico Testamento, vuole mostrare che Cristo è il Messia atteso, l’unico Salvatore); vede Simone e Andrea, suo fratello, che gettano le reti in mare, Giacomo e Giovanni, suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparano le loro reti: il Signore passa nelle nostre vite e guarda proprio noi, con i nostri nomi, impegni, affetti, mentre siamo intenti nelle attività che ci permettono di vivere il contingente. È Lui che ci guarda per primo; noi, sulla riva, neanche ci siamo accorti che sta cercando proprio noi, continuiamo a guardare le nostre cose, a operare secondo i nostri progetti, a riparare quello che si è rotto per riprendere, esattamente nello stesso modo, la stessa vita di prima. È Lui che ci chiama: il nostro nome, risuonato già nella storia come nome qualsiasi, pronunciato da Lui è un’altra cosa, promette la prospettiva della Vita che non muore. È Lui che ci invita a seguirlo, perché solo «dietro di Lui» quello che facciamo ha un senso e si trasforma in un’opera che vale per l’eternità: i quattro «erano pescatori», e Gesù promette di farli «pescatori di uomini».

Il vero tesoro

Il suo sguardo è benedizione, Luce che squarcia le tenebre: guardati da Lui, i quattro sentono di aver ricevuto risposta a tutte le domande, vedono con chiarezza nelle loro vite e ne intuiscono l’orizzonte; comprendono di aver trovato la pienezza che confusamente cercavano, capiscono che Gesù è l’unico tesoro: per questo «subito» abbandonano tutto. È questo l’altro punto chiave del Vangelo di oggi: il Signore non distrugge i legami umani, ma li trasforma e li plasma per orientarli al vero Bene, nostro e dei nostri fratelli. Egli, come chiarisce Paolo in 1Corinzi (II lettura), ci vuole insieme, «unanimi nel parlare, senza divisioni tra noi, in perfetta unione di pensiero e di sentire»: le divisioni sono segno che la nostra sequela non è ancora totale, che abbiamo attenzione a noi stessi più che alla Verità. Camminiamo insieme nella Luce della Parola!

19 gennaio 2023

da “Famiglia Cristiana”

https://www.famigliacristiana.it/blogpost/iii-domenica-del-tempo-ordinario.aspx

Se vuoi approfondire

Il sussidio della Conferenza Episcopale Italiana:

https://www.avvenire.it/amp/chiesa/pagine/domenica-della-parola-sussidio-cei

Il sussisio del Centro biblico San Paolo:

https://www.sobicain.org/wp-content/uploads/2022/11/SussidioDdP23_Web.pdf

Articoli:

https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2023-01/domenica-della-parola-di-dio.html

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/oggi-la-domenica-della-parola-di-dio-la-speranza-cristiana-non-e-utopia

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/il-vescovo-luciano-monari-amare-la-parola-di-dio-con-pazienza

Stare con umiltà fra la gente

Papa Francesco e, nello sfondo, la navata di San Pietro “aula” del Concilio Vaticano II

Omelia nel 60° anniversario dell’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II

«Mi ami?». È la prima frase che Gesù rivolge a Pietro nel Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 21,15). L’ultima, invece, è: «Pasci le mie pecore» (v.17). Nell’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II sentiamo rivolte anche a noi, a noi come Chiesa, queste parole del Signore: Mi ami? Pasci le mie pecore.

1. Anzitutto: Mi ami? È un interrogativo, perché lo stile di Gesù non è tanto quello di dare risposte, ma di fare domande, domande che provocano la vita. E il Signore, che «nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi» (Dei Verbum, 2), chiede ancora, chiede sempre alla Chiesa, sua sposa: “Mi ami?”. Il Concilio Vaticano II è stato una grande risposta a questa domanda: è per ravvivare il suo amore che la Chiesa, per la prima volta nella storia, ha dedicato un Concilio a interrogarsi su sé stessa, a riflettere sulla propria natura e sulla propria missione. E si è riscoperta mistero di grazia generato dall’amore: si è riscoperta Popolo di Dio, Corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito Santo!

Questo è il primo sguardo da avere sulla Chiesa, lo sguardo dall’alto. Sì, la Chiesa va guardata prima di tutto dall’alto, con gli occhi innamorati di Dio. Chiediamoci se nella Chiesa partiamo da Dio, dal suo sguardo innamorato su di noi. Sempre c’è la tentazione di partire dall’io piuttosto che da Dio, di mettere le nostre agende prima del Vangelo, di lasciarci trasportare dal vento della mondanità per inseguire le mode del tempo o di rigettare il tempo che la Provvidenza ci dona per volgerci indietro. Stiamo però attenti: sia il progressismo che si accoda al mondo, sia il tradizionalismo – o l’ “indietrismo” –che rimpiange un mondo passato, non sono prove d’amore, ma di infedeltà. Sono egoismi pelagiani, che antepongono i propri gusti e i propri piani all’amore che piace a Dio, quello semplice, umile e fedele che Gesù ha domandato a Pietro.

Mi ami tu? Riscopriamo il Concilio per ridare il primato a Dio, all’essenziale: a una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati; a una Chiesa che sia ricca di Gesù e povera di mezzi; a una Chiesa che sia libera e liberante. Il Concilio indica alla Chiesa questa rotta: la fa tornare, come Pietro nel Vangelo, in Galilea, alle sorgenti del primo amore, per riscoprire nelle sue povertà la santità di Dio (cfr Lumen gentium, 8c; cap. V). Anche noi, ognuno di noi ha la propria Galilea, la Galilea del primo amore, e sicuramente anche ognuno di noi oggi è invitato a tornare alla propria Galilea per sentire la voce del Signore: “Seguimi”. E lì, per ritrovare nello sguardo del Signore crocifisso e risorto la gioia smarrita, per concentrarsi su Gesù. Ritrovare la gioia: una Chiesa che ha perso la gioia ha perso l’amore. Verso la fine dei suoi giorni Papa Giovanni scriveva: «Questa mia vita che volge al tramonto meglio non potrebbe essere risolta che nel concentrarmi tutto in Gesù, figlio di Maria… grande e continuata intimità con Gesù, contemplato in immagine: bambino, crocifisso, adorato nel Sacramento» (Giornale dell’anima, 977-978). Ecco il nostro sguardo alto, ecco la nostra sorgente sempre viva: Gesù, la Galilea dell’amore, Gesù che ci chiama, Gesù che ci domanda: “Mi ami?”.

Fratelli, sorelle, ritorniamo alle pure sorgenti d’amore del Concilio. Ritroviamo la passione del Concilio e rinnoviamo la passione per il Concilio! Immersi nel mistero della Chiesa madre e sposa, diciamo anche noi, con San Giovanni XXIII: Gaudet Mater Ecclesia! (Discorso all’apertura del Concilio, 11 ottobre 1962). La Chiesa sia abitata dalla gioia. Se non gioisce smentisce sé stessa, perché dimentica l’amore che l’ha creata. Eppure, quanti tra noi non riescono a vivere la fede con gioia, senza mormorare e senza criticare? Una Chiesa innamorata di Gesù non ha tempo per scontri, veleni e polemiche. Dio ci liberi dall’essere critici e insofferenti, aspri e arrabbiati. Non è solo questione di stile, ma di amore, perché chi ama, come insegna l’Apostolo Paolo, fa tutto senza mormorare (cfr Fil 2,14). Signore, insegnaci il tuo sguardo alto, a guardare la Chiesa come la vedi Tu. E quando siamo critici e scontenti, ricordaci che essere Chiesa è testimoniare la bellezza del tuo amore, è vivere in risposta alla tua domanda: mi ami? Non è andare come se fossimo a una veglia funebre.

2. Mi ami? Pasci le mie pecore. La seconda parola: Pasci. Gesù esprime con questo verbo l’amore che desidera da Pietro. Pensiamo proprio a Pietro: era un pescatore di pesci e Gesù lo aveva trasformato in pescatore di uomini (cfr Lc 5,10). Ora gli assegna un mestiere nuovo, quello di pastore, che non aveva mai esercitato. Ed è una svolta, perché mentre il pescatore prende per sé, attira a sé, il pastore si occupa degli altri, pasce gli altri. Di più, il pastore vive con il gregge, nutre le pecore, si affeziona a loro. Non sta al di sopra, come il pescatore, ma in mezzo. Il pastore è davanti al popolo per segnare la strada, in mezzo al popolo come uno di loro, e dietro al popolo per essere vicino a coloro che vanno in ritardo. Il pastore non sta al di sopra, come il pescatore, ma in mezzo. Ecco il secondo sguardo che ci insegna il Concilio, lo sguardo nel mezzo: stare nel mondo con gli altri e senza mai sentirci al di sopra degli altri, come servitori del più grande Regno di Dio (cfr Lumen gentium, 5); portare il buon annuncio del Vangelo dentro la vita e le lingue degli uomini (cfr Sacrosanctum Concilium, 36), condividendo le loro gioie e le loro speranze (cfr Gaudium et spes, 1). Stare in mezzo al popolo, non sopra il popolo: questo è il peccato brutto del clericalismo che uccide le pecore, non le guida, non le fa crescere, uccide. Quant’è attuale il Concilio: ci aiuta a respingere la tentazione di chiuderci nei recinti delle nostre comodità e convinzioni, per imitare lo stile di Dio, che ci ha descritto oggi il profeta Ezechiele: “andare in cerca della pecora perduta e ricondurre all’ovile quella smarrita, fasciare quella ferita e curare quella malata” (cfr Ez 34,16).

Pasci: la Chiesa non ha celebrato il Concilio per ammirarsi, ma per donarsi. Infatti la nostra santa Madre gerarchica, scaturita dal cuore della Trinità, esiste per amare. È un popolo sacerdotale (cfr Lumen gentium, 10 ss.): non deve risaltare agli occhi del mondo, ma servire il mondo. Non dimentichiamolo: il Popolo di Dio nasce estroverso e ringiovanisce spendendosi, perché è sacramento di amore, «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1). Fratelli e sorelle, torniamo al Concilio, che ha riscoperto il fiume vivo della Tradizione senza ristagnare nelle tradizioni; che ha ritrovato la sorgente dell’amore non per rimanere a monte, ma perché la Chiesa scenda a valle e sia canale di misericordia per tutti. Torniamo al Concilio per uscire da noi stessi e superare la tentazione dell’autoreferenzialità, che è un modo di essere mondano. Pasci, ripete il Signore alla sua Chiesa; e pascendo, supera le nostalgie del passato, il rimpianto della rilevanza, l’attaccamento al potere, perché tu, Popolo santo di Dio, sei un popolo pastorale: non esisti per pascere te stesso, per arrampicarti, ma per pascere gli altri, tutti gli altri, con amore. E, se è giusto avere un’attenzione particolare, sia per i prediletti di Dio cioè i poveri, gli scartati (cfr Lumen gentium, 8c; Gaudium et spes, 1); per essere, come disse Papa Giovanni, «la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri» (Radiomessaggio ai fedeli di tutto il mondo a un mese dal Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 settembre 1962).

3. Mi ami? Pasci – conclude il Signore – le mie pecore. Non intende solo alcune, ma tutte, perché tutte ama, tutte chiama affettuosamente “mie”. Il buon Pastore vede e vuole il suo gregge unito, sotto la guida dei Pastori che gli ha dato. Vuole – terzo sguardo – lo sguardo d’insieme: tutti, tutti insieme. Il Concilio ci ricorda che la Chiesa, a immagine della Trinità, è comunione (cfr Lumen gentium, 4.13). Il diavolo, invece, vuole seminare la zizzania della divisione. Non cediamo alle sue lusinghe, non cediamo alla tentazione della polarizzazione. Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre! Quante volte si è preferito essere “tifosi del proprio gruppo” anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, “di destra” o “di sinistra” più che di Gesù; ergersi a “custodi della verità” o a “solisti della novità”, anziché riconoscersi figli umili e grati della santa Madre Chiesa. Tutti, tutti siamo figli di Dio, tutti fratelli nella Chiesa, tutti Chiesa, tutti. Il Signore non ci vuole così: noi siamo le sue pecore, il suo gregge, e lo siamo solo insieme, uniti. Superiamo le polarizzazioni e custodiamo la comunione, diventiamo sempre più “una cosa sola”, come Gesù ha implorato prima di dare la vita per noi (cfr Gv 17,21). Ci aiuti in questo Maria, Madre della Chiesa. Accresca in noi l’anelito all’unità, il desiderio di impegnarci per la piena comunione tra tutti i credenti in Cristo. Lasciamo da parte gli “ismi”: al popolo di Dio non piace questa polarizzazione. Il popolo di Dio è il santo popolo fedele di Dio: questa è la Chiesa. È bello che oggi, come durante il Concilio, siano con noi rappresentanti di altre Comunità cristiane. Grazie! Grazie per essere venuti, grazie per questa presenza.

Ti rendiamo grazie, Signore, per il dono del Concilio. Tu che ci ami, liberaci dalla presunzione dell’autosufficienza e dallo spirito della critica mondana. Liberaci dell’autoesclusione dall’unità. Tu, che ci pasci con tenerezza, portaci fuori dai recinti dell’autoreferenzialità. Tu, che ci vuoi gregge unito, liberaci dall’artificio diabolico delle polarizzazioni, degli “ismi”. E noi, tua Chiesa, con Pietro e come Pietro ti diciamo: “Signore, tu sai tutto; tu sai che noi ti amiamo” (cfr Gv 21,17).

Francesco

Recuperare il valore del voto come dono

Il Movimento Laudato si’ in collaborazione con Retinopera lancia una mobilitazione per l’impegno a votare informati; anche per questo sta diffondendo il Manifesto “Ascolta la voce del Creato #chiamatiallaresponsabilità” che puoi leggere qui di seguito.

Ci accompagnerà nei prossimi giorni, ancora un tempo utile ed opportuno per informarsi, chiedere, approfondire i programmi elettorali degli schieramenti e delle formazioni politiche. In questo tempo “propizio”, mi permetto di suggerire la lettura della Lettera che il Vescovo di Prato ha scritto in vista delle prossime elezioni politiche del 25 settembre (http://www.diocesiprato.it/il-vescovo-giovanni-scrive-ai-pratesi-in-vista-delle-elezioni-del-25-settembre/).

Buona riflessione per #rispondereallaresponsabilità.

Claudio

http://www.diocesiprato.it/il-vescovo-giovanni-scrive-ai-pratesi-in-vista-delle-elezioni-del-25-settembre/

Preghiera ecumenica sulla Città

Il Circolo Laudato si’ propone, nell’ambito delle iniziative pensate per contribuire a vivere meglio il Tempo del creato, un tempo di Preghiera Ecumenica; trovi locandina e testo per poter seguire sia in presenza, sia da “lontano” in unione di preghiera con i Fratelli tutti.

Santuario Madonna di Ripaia – 8 settembre 2022

Preghiera ecumenica sulla città

Ascolta la Voce del Creato

Benvenuto

Siamo qui riuniti nel nome del Dio Trino, Creatore, Redentore e Sostenitore della Terra e di tutte le sue creature! Lode alla Santa Trinità! Dio è suono e vita, Creatore dell’universo, Fonte di vita, Colui a cui gli angeli cantano:  Luce Meravi-

gliosa di tutti i misteri conosciuti o sconosciuti all’umanità, e Vita che vive in tutto.

(Ildegarda di Bingen, XIII secolo)

Saluto

Un saluto nel nome del nostro Dio buono:

il cui amore dura per sempre.

Un saluto a voi sole e luna, stelle del cielo australe:

rendete al nostro Dio il vostro ringraziamento e la vostra lode.

Alba e tramonto, notte e giorno:

rendete al nostro Dio il vostro ringraziamento e la vostra lode.

Un saluto a voi montagne e valli, valanghe, nebbia e neve:

rendete al nostro Dio il vostro ringraziamento e la vostra lode.

Un saluto a voi alberi, muschi e felci:

rendete al nostro Dio il vostro ringraziamento e la vostra lode.

Un saluto a voi pesci, leoni marini e granchi:

rendete al nostro Dio il vostro ringraziamento e la vostra lode.

Un saluto a voi animali:  elefanti, leoni, giraffe, struzzi, pecore:

rendete al nostro Dio il vostro ringraziamento e la vostra lode.

Un saluto a voi, donne e uomini, anziani e bambini

Diverse culture di questa terra arcobaleno:

operai e insegnanti, addetti alle pulizie e impiegati,

studenti, persone in cerca di lavoro, star della TV e dello sport,

tutti coloro che hanno cura, che amano e che pregano,

chi ride e impara, chi riposa e chi gioca.

Rendete al nostro Dio il vostro ringraziamento e la vostra lode.

(Liberamente adattato: A New Zealand Prayer Book/He Karakia Mihinare o Aotearoa pag 457,

Lynn Pedersen 2016, Ispirata da Ps 148 & Song of Creation, New Zealand Prayer Book)

Salmodia

I cieli narrano la gloria di Dio,

l’opera delle sue mani annuncia firmamento.

Il giorno al giorno ne affida il racconto

e la notte alla notte ne trasmette notizia.

Ascolta il creato parlare di Dio,

ascolta la Parola di Dio nelle Scritture

Senza linguaggio, senza parole,

senza che si oda la loro voce,

per tutta la terra si diffonde il loro annuncio

e ai confini del mondo il loro messaggio.

Ascolta il creato parlare di Dio,

ascolta la Parola di Dio nelle Scritture

La legge del Signore è perfetta,

rinfranca l’anima;

la testimonianza del Signore è stabile,

rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,

fanno gioire il cuore;

Ascolta il Creato parlare di Dio,

ascolta la Parola di Dio nelle Scritture

il comando del Signore è limpido,

illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,

rimane per sempre;

i giudizi del Signore sono fedeli,

sono tutti giusti (Salmo 19)

Ascolta il creato parlare di Dio,

ascolta la Parola di Dio nelle Scritture

Lode e ringraziamento spontaneo

Canto: Laudato si’ Signore mio

Lettura dal libro delle Lamentazioni

Si accendono tre candele per rappresentare le voci degli indigeni, delle donne e della biodiversità

Dio del nostro mondo vibrante,

Hai dato agli esseri umani la responsabilità di prendersi cura l’uno dell’altro. I popoli indigeni hanno legami storici, spirituali e personali con queste terre in cui noi tutti abitiamo. Ma molti di noi non siamo riusciti a riconoscere la presenza di Dio in queste tradizioni e le loro voci lo sono state messe a tacere. Siamo grati alle nazioni indigene per la cura che hanno avuto e per la loro presenza continuativa sulla Terra. Apprezziamo tutti la loro resilienza e la forza mostrate attraverso le generazioni fino ad oggi.

Ci rivolgiamo allo Spirito che supera i confini e dà vita alla comunità. Aiutaci a creare un luogo in cui tutti siamo i benvenuti e riconosciamo la Tua grazia all’opera nel nostro prossimo. Insieme speriamo di poter apprezzare la ricchezza spirituale nelle nostre relazioni nella rete della vita.

Signore nella Tua misericordia abbi pietà

Pietà di noi o Signore, ascolta la nostra preghiera

O Dio di tutta la creazione.

Hai creato terra e alberi, animali e tutte le creature viventi sulla terra. Noi stiamo distruggendo le foreste, attraverso veleni e disboscamento abbiamo messo a tacere le voci degli uccelli, degli insetti e gli abitanti della foresta.

Hai creato le meraviglie dell’oceano, i pesci, le conchiglie, gli scogli, le balene, le onde, i coralli. Gli oceani si stanno riscaldando e annegando nella plastica e le loro voci sono state silenziate.

Ci rivolgiamo a Te con dolore e pentimento.

Per favore aiutaci a prenderci cura degli oceani, della terra e della foresta e a riconoscere che la terra è una Tua benedizione per noi. La creazione ci sta parlando, ma la sua voce è stata messa a tacere dal ruggito della nostra avidità.

Signore nella Tua misericordia abbi pietà

Pietà di noi o Signore, ascolta la nostra preghiera

Madre Terra, nostra Sorella, ci sostieni e ci governi. Abbiamo messo a tacere le voci del Tuo popolo, specialmente le voci delle donne – protettrici della Terra che sono state uccise dai land-grabbers, dalle compagnie minerarie e dalle compagnie petrolifere. Molte altre sono le voci delle nostre sorelle che sono state silenziate da inondazioni, uragani e siccità mentre il riscaldamento della terra porta ulteriore distruzione. Che noi possiamo ascoltare le voci delle nostre madri e sorelle per impararne a fare tesoro e proteggere la rete della vita.

Signore nella Tua misericordia abbi pietà

Pietà di noi o Signore, ascolta la nostra preghiera

Ci rivolgiamo a te con dolore e pentimento.

Per favore, Dio Creatore, perdonaci per le attività umane che hanno sopraffatto il tempo e hanno causato la distruzione del nostro ambiente.

Signore nella Tua misericordia abbi pietà

Pietà di noi o Signore, ascolta la nostra preghiera

(Adattato da una preghiera di lamento scritta dai membri dei quattro Ordini Religiosi della Chiesa Anglicana della Melanesia:

Fratellanza Melanesiana, Società di San Francesco, Comunità delle Suore della Chiesa, Comunità delle Suore della Melanesia)

Si mantiene un momento di silenzio mentre i partecipanti spengono le candele in memoria delle comunità spazzate via dal degrado ambientale e delle creature che si stanno estinguendo; per le voci delle donne, degli indigeni e della creazione che sono state messe a tacere.

Canto: Canzone di Maria Chiara

Trasformaci, o Dio, dal nostro desiderio di ripiegarci su noi stessi, dal rifiuto di ascoltare le voci delle nostre co-creatu-re. Chiamaci ancora, apri le nostre orecchie. Uniscici e conducici nelle relazioni giuste che guariscono e sostengono. Illuminaci con il tuo Spirito che rinnova il volto della Tua Terra e custodisce una casa per tutti. Amen.

Professione di fede

Crediamo in Dio, che crea tutte le cose,

che abbraccia ogni cosa, che celebra ogni cosa,

che è presente in ogni parte del tessuto della creazione.

Crediamo in Dio come fonte di tutta la vita,

che battezza questo pianeta con acqua viva.

Crediamo in Gesù Cristo, il sofferente, il povero,

il malnutrito, il rifugiato climatico,

che ama e si prende cura di questo mondo e che soffre con esso.

E noi crediamo in Gesù Cristo, seme di vita,

venuto per riconciliare e rinnovare questo mondo e tutto ciò che contiene.

Crediamo nello Spirito Santo, soffio di Dio,

che si muove con Dio e che si muove tra e con noi oggi.

Crediamo nella vita eterna in Dio.

E crediamo nella speranza che un giorno

Dio porrà fine alla morte e a tutte le forze distruttive.

(Gurukul Theological College, India / adattata da Keld B. Hansen 2009)

Preghiere di intercessione

Amorevole Dio, anche il passero ha trovato una casa, e la rondine un nido per sé, dove pone i suoi piccoli presso il Tuo altare. Sei attento a tutto quello che hai fatto.

Dio, che ascolti ogni essere vivente,

Aiutaci ad ascoltare come fai Tu.

Amorevole Dio, aiutaci a fornire rifugio a ogni animale e pianta con cui viviamo. Aiutaci ad essere attenti a tutto quello che hai fatto.

Dio, in cui sussiste tutta la creazione,

Aiutaci ad ascoltare come fai Tu.

Amorevole Dio, quando Gesù gridò e consegnò il suo Spirito, la terra tremò e le rocce si spaccarono. Sei riconosciuto da tutta la creazione che ti ascolta.

Dio, al quale tutta la creazione risponde,

Aiutaci a risponderTi.

Amorevole Dio, aiutaci a sentirti e a riconoscerti proprio come fanno la terra e le rocce. Aiutaci a imparare dal modo in cui la creazione riconosce la Tua gloriosa bellezza.

Dio, al quale tutta la creazione risponde,

Aiutaci a risponderTi.

Amorevole Dio, sei presente nella Tua creazione e cerchi di sanarne tutte le ferite. Ti possiamo trovare passeggiando nei giardini. Apri i nostri occhi per vedere Te, il giardiniere.

Dio, che sei presente nella Tua creazione,

Aiutaci ad essere presenti.

Amorevole Dio, spesso abbandoniamo la Tua creazione e causiamo ferite. Aiutaci a seguire i Tuoi passi e ad imparare a passeggiare nel  Tuo giardino come Te.

Dio, che sei presente nella Tua creazione,

Aiutaci ad essere presenti.

Dio amorevole, che ascolti ogni voce, conosci ogni grido di ingiustizia, e sei attento alle sofferenze della terra: insegnaci ad ascoltare. Guarisci le nostre vite, affinché possiamo proteggere il mondo e non depredarlo, affinché ascoltiamo il mondo che hai creato e non ci chiudiamo fuori di esso. Facci comprendere quando non siamo riusciti a sentire la Tua

voce nel trattare la terra.

Dio, che ascolti ogni essere vivente,

Aiutaci ad ascoltare come fai Tu.

Amen

Preghiera del Signore

Spirito eterno, Creatore della terra, Tu che sopporti il dolore, Datore di vita,

Fonte di tutto ciò che è e sarà,

Padre e Madre di tutti noi,

Dio che ama, in cui è il cielo:

La santificazione del Tuo nome riecheggia nell’universo!

La via della Tua giustizia sia seguita dai popoli del mondo!

La Tua volontà celeste sarà fatta da tutti gli esseri creati!

La Tua amata comunità di pace e libertà ti chiede di sostenere la speranza e

venire sulla terra.

Nutrici oggi con il pane di cui abbiamo bisogno.

Nelle ferite che assorbiamo gli uni dagli altri, perdonaci.

Nei momenti di tentazione e prova, rafforzaci.

Dalle prove troppo grandi da sopportare, risparmiaci.

Dalla morsa di tutto ciò che è male, liberaci.

Perché Tu regni nella gloria del potere che è l’amore, ora e per sempre. Amen.

(Adattato da The New Zealand Book of Prayer | He Karakia Mihinare o Aotearoa.

Questa versione della preghiera del Signore è stata influenzata dai teologi Maori)

Scambio della pace

Se siamo in Cristo, diventiamo una nuova creazione.

Vediamo Dio intorno a noi. Vediamo Dio dentro di noi. Rendiamo

grazie al nostro Creatore.

Mostriamo la natura premurosa che è in noi salutandoci a

vicenda come segno della giustizia di pace, dell’amore, del

perdono e della grazia di Dio. La pace del nostro Creatore sia con

voi in ogni cosa.

E anche con te.

Siete invitati a prendervi cura e a condividere la pace con il vostro

prossimo e a dire una parola di pace alla terra in cui vi riunite e alle

creature che condividono questa casa comune.

(adattato da Celebrare il Creato: onorare le popolazioni indigene, Kelly Sherman-Conroy, ELCA)

Benedizione

Possa Dio che ha stabilito la danza del creato,

che ha ammirato i gigli del campo,

che tramuta il caos in ordine,

conducici a trasformare le nostre vite e la Chiesa

ad ascoltare le voci di tutte le creature

per riflettere la gloria di Dio nel creato.

(adattato da il Programma Eco-Congregazione CTBI)

Canto: Jubilate Deo

Ascolta la voce del creato

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA
GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LA CURA DEL CREATO
1° settembre 2022


Cari fratelli e sorelle!
“Ascolta la voce del creato” è il tema e l’invito del Tempo del Creato di quest’anno. Il periodo ecumenico inizia il 1° settembre con la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato e si conclude il 4 ottobre con la festa di San Francesco. È un momento speciale per tutti i cristiani per pregare e prendersi cura insieme della nostra casa comune. Originariamente ispirato dal Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, questo tempo è un’opportunità per coltivare la nostra “conversione ecologica”, una conversione incoraggiata da San Giovanni Paolo II come risposta alla “catastrofe ecologica” preannunciata da San Paolo VI già nel 1970 [1].

Se impariamo ad ascoltarla, notiamo nella voce del creato una sorta di dissonanza. Da un lato, è un dolce canto che loda il nostro amato Creatore; dall’altro, è un grido amaro che si lamenta dei nostri maltrattamenti umani.
Il dolce canto del creato ci invita a praticare una «spiritualità ecologica» (Lett. enc. Laudato si’, 216), attenta alla presenza di Dio nel mondo naturale. È un invito a fondare la nostra spiritualità sull’«amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale» ( ibid., 220).

Per i discepoli di Cristo, in particolare, tale luminosa esperienza rafforza la consapevolezza che «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» ( Gv 1,3). In questo Tempo del Creato, riprendiamo a pregare nella grande cattedrale del creato, godendo del «grandioso coro cosmico» [2] di innumerevoli creature che cantano le lodi a Dio. Uniamoci a San Francesco
d’Assisi nel cantare: “Sii lodato, mio Signore, con tutte le tue creature” (cfr Cantico di frate sole).

Uniamoci al Salmista nel cantare: «Ogni vivente dia lode al Signore!» ( Sal 150,6). Purtroppo, quella dolce canzone è accompagnata da un grido amaro. O meglio, da un coro di grida amare. Per prima, è la sorella madre terra che grida. In balia dei nostri eccessi consumistici, essa geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione. Poi, sono le diverse creature
a gridare. Alla mercé di un «antropocentrismo dispotico» ( Laudato si’, 68), agli antipodi della centralità di Cristo nell’opera della creazione, innumerevoli specie si stanno estinguendo, cessando per sempre i loro inni di lode a Dio.

Ma sono anche i più poveri tra noi a gridare. Esposti alla crisi climatica, i poveri soffrono più fortemente l’impatto di siccità, inondazioni, uragani e ondate di caldo che continuano a diventare sempre più intensi e frequenti. Ancora, gridano i nostri fratelli e sorelle di popoli nativi. A causa di interessi economici predatori, i loro territori ancestrali vengono invasi e devastati da ogni parte, lanciando «un grido che sale al cielo» (Esort. Ap. postsin. Querida Amazonia, 9).

Infine, gridano i nostri figli. Minacciati da un miope egoismo, gli adolescenti chiedono ansiosi a noi adulti di fare tutto il possibile per prevenire o almeno limitare il collasso degli ecosistemi del nostro pianeta.
Ascoltando queste grida amare, dobbiamo pentirci e modificare gli stili di vita e i sistemi dannosi.
Sin dall’inizio, l’appello evangelico «Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino!» ( Mt 3,2), invitando a un nuovo rapporto con Dio, implica anche un rapporto diverso con gli altri e con il creato. Lo stato di degrado della nostra casa comune merita la stessa attenzione di altre sfide globali quali le gravi crisi sanitarie e i conflitti bellici. «Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» ( Laudato si’, 217).


Come persone di fede, ci sentiamo ulteriormente responsabili di agire, nei comportamenti quotidiani, in consonanza con tale esigenza di conversione. Ma essa non è solo individuale: «La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambiamento duraturo è anche una conversione comunitaria» ( ibid., 219). In questa prospettiva, anche la comunità delle nazioni è chiamata a impegnarsi, specialmente negli incontri delle Nazioni Unite dedicati alla questione ambientale, con spirito di massima cooperazione.


Il vertice COP27 sul clima, che si terrà in Egitto a novembre 2022, rappresenta la prossima opportunità per favorire tutti insieme una efficace attuazione dell’Accordo di Parigi. È anche per questo motivo che ho recentemente disposto che la Santa Sede, a nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, aderisca alla Convenzione-Quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici e all’Accordo di Parigi, con l’auspicio che l’umanità del XXI secolo «possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità» ( ibid., 165). Raggiungere l’obiettivo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C è alquanto impegnativo e richiede la responsabile collaborazione tra tutte le nazioni a presentare piani climatici, o Contributi Determinati a livello Nazionale, più ambiziosi, per ridurre a zero le emissioni nette di gas serra il più urgentemente possibile.

Si tratta di “convertire” i modelli di consumo e di produzione, nonché gli stili di vita, in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e dello sviluppo umano integrale di tutti i popoli presenti e futuri, uno sviluppo fondato sulla responsabilità, sulla prudenza/precauzione, sulla solidarietà e sull’attenzione ai poveri e alle generazioni future. Alla base di tutto dev’esserci l’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente che, per noi credenti, è specchio dell’«amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino»[3].

La transizione operata da questa conversione non può trascurare le esigenze della giustizia, specialmente per i lavoratori maggiormente colpiti dall’impatto del cambiamento climatico.

A sua volta, il vertice COP15 sulla biodiversità, che si terrà in Canada a dicembre, offrirà alla buona volontà dei governi l’importante opportunità di adottare un nuovo accordo multilaterale per fermare la distruzione degli ecosistemi e l’estinzione delle specie. Secondo l’antica saggezza dei Giubilei, abbiamo bisogno di «ricordare, tornare, riposare e ripristinare» [4]. Per fermare l’ulteriore collasso della “rete della vita” – la biodiversità – che Dio ci ha donato, preghiamo e invitiamo le nazioni ad accordarsi su quattro principi chiave:

1. costruire una chiara base etica per la trasformazione di cui abbiamo bisogno al fine di salvare la biodiversità;

2. lottare contro la perdita di biodiversità, sostenerne la conservazione e il recupero e soddisfare i bisogni delle persone in
modo sostenibile;

3. promuovere la solidarietà globale, alla luce del fatto che la biodiversità è un bene comune globale che richiede un impegno condiviso; 4. mettere al centro le persone in situazioni di vulnerabilità, comprese quelle più colpite dalla perdita di biodiversità, come le popolazioni indigene, gli anziani e i giovani.

Lo ripeto: «Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive – minerarie, petrolifere, forestali, immobiliari, agroalimentari – di smettere di distruggere i boschi, le aree umide e le montagne, di smettere d’inquinare i fiumi e i mari, di smettere d’intossicare i popoli e gli alimenti» [5].
Non si può non riconoscere l’esistenza di un «debito ecologico» (Laudato si’, 51) delle nazioni economicamente più ricche, che hanno inquinato di più negli ultimi due secoli; esso richiede loro di compiere passi più ambiziosi sia alla COP27 che alla COP15. Ciò comporta, oltre a un’azione determinata all’interno dei loro confini, di mantenere le loro promesse di sostegno finanziario e tecnico per le nazioni economicamente più povere, che stanno già subendo il peso maggiore della crisi climatica. Inoltre, sarebbe opportuno pensare urgentemente anche a un ulteriore sostegno finanziario per la conservazione della biodiversità. Anche i Paesi economicamente meno ricchi hanno responsabilità significative ma “diversificate” (cfr ibid., 52); i ritardi degli altri non possono mai giustificare la propria inazione. È necessario agire, tutti, con decisione. Stiamo raggiungendo “un punto di rottura” (cfr ibid., 61).

Durante questo Tempo del Creato, preghiamo affinché i vertici COP27 e COP15 possano unire la famiglia umana (cfr ibid., 13) per affrontare decisamente la doppia crisi del clima e della riduzione della biodiversità. Ricordando l’esortazione di San Paolo a rallegrarsi con chi gioisce e a piangere con chi piange (cfr Rm 12,15), piangiamo con il grido amaro del creato, ascoltiamolo e rispondiamo con i fatti, perché noi e le generazioni future possiamo ancora gioire con il dolce canto di vita e di speranza delle creature.

Roma, San Giovanni in Laterano, 16 luglio 2022, Memoria della B.V. Maria del Monte Carmelo.


FRANCESCO

Allegato:

“L’Anima mia ha Sete del Dio Vivente”

Comunità parrocchiale San Giuseppe – Pontedera

                     a cura Azione Cattolica                                                                           23 giugno 2022

Cari amici, care amiche…

Premessa

Il calendario della proposta di Percorso Biblico propone adesso la terza esperienza di “Parola di Lode”.

Stiamo attraversando un periodo veramente impegnativo; da credenti non possiamo non chiederci che cosa Dio ci sta, oggi, comunicando.

Siamo come attanagliati da una crisi internazionale che vede un suo punto focale nella tragedia in Ucraina; una crisi ambientale; una crisi economica; una crisi sociale.

È sensazione diffusa quella che, ogni giorno, sembrano aggiungersi notizie fosche a quadri già allarmanti della situazione. Sul fronte della guerra, soprattutto, è come se osservassimo il dilagare di un incendio di vaste proporzioni senza vedere un solo pompiere all’orizzonte.

In vaste aree del pianeta si manifestano, con sempre maggiore evidenza, segnali di quella allerta data per i cambiamenti climatici in atto che anche in Italia si sta acutamente imponendo con la crisi idrica.

Inoltre, come se tutto quanto sopra non bastasse, a causa della pandemia di covid e della crisi economica (oltre ai cambiamenti climatici), in Sardegna assistiamo ad una invasione di cavallette con devastazione di oltre 30 mila ettari di coltivazioni, ma tutta l’Italia rischia la piaga delle cavallette che ricorda una delle 10 piaghe bibliche.

Di fronte alle difficoltà, nelle prove più diverse, nella esperienza del limite, consapevoli di essere figli di un unico Padre, possiamo esprimere la nostra fede: “il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto cielo e terra” (Sal 120). Lui è il “custode” sempre sveglio, attento e premuroso, la “sentinella” che veglia sul suo popolo per tutelarlo da ogni rischio e pericolo.

Anche noi, con questa fede diciamo: “di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua” (Sal 62)

Spesso, paragoniamo la Fede all’acqua, necessaria per la nostra vita calata nella concretezza umana. Nella riflessione di oggi, invece, proviamo a ribaltare la prospettiva, ponendo la fede non come risposta ad un bisogno, ma come il motore che “turba” la nostra esistenza e ci spinge in cerca del necessario. La Fede, appunto, non più come acqua ma come “sete”.

Quindi, semplicemente, viene qui offerto un modesto strumento di riflessione: per chi vorrà utilizzarlo potrà essere un ulteriore aiuto a far salire al Padre quei “gemiti inesprimibili” dello Spirito (Rm. 8,26) e lo faremo insieme, da fratelli, da sorelle, proprio come è la nostra realtà vista dagli occhi dell’unico Padre.

Non si tratta di una Veglia di preghiera, vuole essere piuttosto una pro-vocazione a rendere, con balbettii e gemiti, la personale lode al Padre che perdutamente ci ama.

Scolasticamente, questo è il periodo in cui vengono tirate le somme. Proviamo anche noi, in totale onestà e confidenzialità col Signore, a fare un bilancio del nostro “profitto” al termine di questo percorso Biblico. Mi sento arricchito o arricchita rispetto a qualche mese fa? Ho riflettuto sulla Parola? Sono stato in grado di ascoltare ciò che Dio mi ha detto attraverso questi Libri?

Gli Amici dell’AC


C’è chi chiede la PACE

Oltre 20mila alla Marcia della pace: "Russia e Ucraina? L'unico nemico è la  guerra"

Ieri, per la terza volta in meno di 4 anni ho ritenuto opportuno unirmi alle migliaia di cittadini italiani e stranieri abitanti in Italia, per partecipare alla Marcia straordinaria PerugiAssisi per la Pace e la Fraternità.

Sono grato per le parole che papa Francesco ha pronunciato ieri dopo il Regina Caeli di cui riporto un ampio estratto qui di seguito:

Cari fratelli e sorelle,

oggi varie Chiese orientali, cattoliche e ortodosse, e anche diverse comunità latine, celebrano la Pasqua secondo il calendario giuliano. Noi l’abbiamo celebrata domenica scorsa, secondo il calendario gregoriano. Porgo loro i miei auguri più cari: Cristo è risorto, è risorto veramente! Sia Lui a colmare di speranza le buone attese dei cuori. Sia Lui a donare la pace, oltraggiata dalla barbarie della guerra. Proprio oggi ricorrono due mesi dall’inizio di questa guerra: anziché fermarsi, la guerra si è inasprita. È triste che in questi giorni, che sono i più santi e solenni per tutti i cristiani, si senta più il fragore mortale delle armi anziché il suono delle campane che annunciano la risurrezione; ed è triste che le armi stiano sempre più prendendo il posto della parola.

Rinnovo l’appello a una tregua pasquale, segno minimo e tangibile di una volontà di pace. Si arresti l’attacco, per venire incontro alle sofferenze della popolazione stremata; ci si fermi, obbedendo alle parole del Risorto, che il giorno di Pasqua ripete ai suoi discepoli: «Pace a voi!» (Lc 24,36; Gv 20,19.21). A tutti chiedo di accrescere la preghiera per la pace e di avere il coraggio di dire, di manifestare che la pace è possibile. I leader politici, per favore, ascoltino la voce della gente, che vuole la pace, non una escalation del conflitto.

A questo proposito, saluto e ringrazio i partecipanti alla Marcia straordinaria Perugia-Assisi per la pace e la fraternità, che si svolge oggi; come pure quanti vi hanno aderito dando vita ad analoghe manifestazioni in altre città d’Italia.

Oggi i Vescovi del Camerun compiono con i loro fedeli un pellegrinaggio nazionale al Santuario mariano di Marianberg, per riconsacrare il Paese alla Madre di Dio e metterlo sotto la sua protezione. Pregano in particolare per il ritorno della pace nel loro Paese, che da più di cinque anni, in varie regioni, è lacerato dalle violenze. Eleviamo anche noi la nostra supplica, insieme ai fratelli e alle sorelle del Camerun, affinché Dio, per intercessione della Vergine Maria, conceda presto una pace vera e duratura a questo amato Paese.


Che cosa ha detto Papa Francesco?

Si è rivolto ai fratelli ortodossi per la Pasqua ortodossa. Ha di nuovo ripetuto che quella che sta avvenendo in Ucraini è una guerra, causata dall’aggressione della Russia verso quel Paese. Ha chiesto di nuovo una tregua pasquale: ci si fermi.

Questa è la verità, non un altra; eppure, anche neglim ultimi giorni, testate giornalistiche importanti hanno manipolato la verità dei fatti procedendo senza sosta in una campagna di attacco al movimento pacifista italiano che, come Papa Francesco, vuole la Pace. E’ chiaro?

Poi ha chiesto ulteriori due cose: intensificare la preghiera per la pace e, rivolgendosi ai leaders politici, di dare ascolto alla voce della gente, mettendosi in diretto collegamento con la marcia in Assisi.

Poi, proseguendo, ha sottolineato che (citando il Cameroum) nel mondo ci sono molti conflitti in atto. Perlopiù guerre dimenticate.

Ad Assisi, ancora una volta ho incontrato il popolo della pace: è un popolo fatto da tante belle reatà di singoli e di associazioni, di scuole e di enti locali, di tutto di più. Ieri abbiamo marciato, oggi non stiamo a riposare.

A questo popolo il Papa ieri ha chiesto di intensificare la preghiera per la Pace. Grazie Papa Francesco.

Claudio

Pasqua, festa dei macigni rotolati

Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati. E’ la festa del terremoto.
La mattina di Pasqua le donne, giunte nell’orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro.
E’ il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione del peccato.
Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte.
Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo.

+ Tonino Bello