Una Parola per la vita

È stato pubblicato il libro “Perché nulla vada perduto – Il nostro percorso dalla memoria alla speranza”; dal 3 ottobre u.s., settimana dopo settimana, pubblico il commento che sui testi (nelle varie liturgie) don Enzo fece negli anni 1995-1996.

Infatti si tratta di letture liturgiche di alcuni giorni domenicali e festivi dei cicli C ed A; l’attuale anno liturgico è quello A.

Un modo come un altro per continuare a farci provocare dalla sua meditazione sui testi sacri; una riflessione acuta e profonda, non meno che puntuale, offerta a noi in modo serio e pacato, come da sua consuetudine.


9 febbraio 2020 – V tempo Ordinario

Is 58, 7-10; Sal 111; 1 Cor 2, 1-5; Mt 5, 13-16

Due immagini si rincorrono nelle pagine bibliche che oggi la liturgia ci offre: il discepolo di Gesù è chiamato ad essere sale e luce per tutti.

La convivenza umana non trova in se stessa capacità di sapore pieno, di luce che la orienti. Ogni pretesa di autonomia la illude e la disorienta perché nasce dalla superbia dell’uomo che si fa Dio e pretende di giudicare, come i progenitori, ciò che è bene e ciò che è male, di possedere la spiegazione di se stesso, di dare senso ad un cammino che lui non ha progettato. All’origine della insipidezza dei giorni, delle tenebre che sembrano dominarli c’è questa scelta orgogliosa, o, quanto meno, l’incapacità di trovare un senso più alto, un progetto più significativo. Penso, in particolare, ad un fenomeno drammatico al quale assistiamo con una frequenza che dovrebbe farci interrogare e che ci lascia sostanzialmente indifferenti, visto che non suscita nessuna energia per rispondergli in modo efficace: i suicidi in età giovanile; e tali mi sembra di dover considerare anche le tanti morti del “sabato sera”.
–Perché devo continuare a vivere questa vita che non mi dice più nulla ?–, sembra che dicano molti di questi ragazzi che la buttano via con disperazione o con leggerezza.

E il discepolo di Gesù? Con molta umiltà e gratitudine deve riconoscere che ha ricevuto un dono. La Parola gli racconta efficacemente l’uomo: chi è, da quale paternità nasce, verso quale meta cammina, quali passi deve compiere per raggiungerla. Gesù stesso gli sta davanti come modello compiuto di uomo, gli sta accanto come compagno di viaggio. Se risponde con fede non sarà mai uno che getta via il sale e lo rende inutile, né uno che nasconde stoltamente la luce ricevuta piuttosto che farne fiaccola per il cammino.

Anzi le sue opere manifesteranno la ricchezza che è in lui, e diventerà “sale della terra”, “luce del mondo”, “lucerna che fa luce a tutti quelli che sono in casa”.

Il primo atteggiamento sarà dunque, come detto, di umile gratitudine, di lode perché lo Spirito l’ha reso capace di consentire a colui che il versetto al vangelo presenta con le parole di Giovanni (8,12) : “Io sono la luce del mondo, chi segue me avrà la luce della vita”.

Ma subito dopo sentirà forte l’invito alla responsabilità. Sale e luce si possono perdere per trascuratezza, si possono gettare per rifiuto. Penso, con dolore, a quanti dicono: “Io non credo più”, magari perché noi educatori non siamo stati capace di far crescere il seme della fede deposto in loro, o perché altri maestri si sono sostituiti a noi e hanno gettato gramigna sul seme buono, o perché loro  stessi si sono illusi ed hanno scelto di diventare maestri arroganti anziché discepoli umili.

E la responsabilità non è vissuta pienamente se non diventa anche sprone per la testimonianza concreta, quella che è più capace di convincere e di trascinare. A Israele che cerca luce e futuro dopo la tragedia dell’esilio e il ritorno in patria, Isaia (o il profeta che si nasconde sotto questo nome) dice che la ricostruzione fisica di Gerusalemme e quella del suo tessuto economico-sociale non può essere una risposta sufficiente: se vuole trovare pace ed essere fonte di speranza nuova deve guardare più lontano e trovare in Dio la meta della sua ricerca giungendo a compiendo le opere che lui gli ha insegnato. Solo allora, quando sarà stato capace di amare il fratello come se stesso, la dolorosa ferita che l’esilio ha aperto, sollevando uno scandaloso dubbio sulla vicinanza di Dio, si rimarginerà e la certezza dell’alleanza consolerà il suo cuore fino a strapparlo alle tenebre dell’empietà, e troverà risposta l’invocazione d’aiuto. Quando la sua giustizia di misurerà con la sua fede, nessuna ombra di morte potrà oscurare la sua vita.

E i versetti del salmo 111 utilizzati oggi ben descrivono la situazione di profonda pace in cui si trova il cuore di chi si affida al Signore, e la luminosità delle opere del giusto che diffondono speranza e consolazione, mentre la colletta ci fa chiedere “il vero spirito del Vangelo” per diventare “ardenti nella fede e instancabili nella carità” ed essere così “luce e sale della terra”.

“Ardenti nella fede e instancabili nella carità” non è forse un modo per dire che dobbiamo camminare per giungere a riconoscere il primato di Dio nella vita e agire di conseguenza? La conversione alla quale ci invita la sequela fin dalla prima presentazione della “vita pubblica” di Gesù solo allora giunge a pienezza e trasuda dalle opere che compiamo fino a renderle messaggio forte per tutti coloro che incontriamo. Il Vangelo non può essere portato efficacemente da annunziatori banali e stanchi, non sarebbe “una città collocata sopra un monte”, illuminata e splendida, città del cuore per quanti attraversano il grigiore della pianura.

Don Enzo

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