Per la città, questo ed altro

Per la città in cui viviamo,
perchè il Signore dia a tutti noi forza e immaginazione, per creare rapporti veramente umani in un mondo dominato dalla fretta e dall’ansia, preghiamo.

Partecipando alla celebrazione eucaristica ho ascoltato e pregato con tutta l’assemblea anche per questa intenzione.

Ho desiderato avviare una riflessione personale che volentieri condivido, spingendomi perfino ad immaginare che possa servire per aprire un dibattito.


La città in cui viviamo. Mi piace questo incipit perchè, a mio avviso, pone la questione nel modo migliore, ovvero dal punto di vista dell’appartenenza. Il territorio è (anche se non solamente) spazio comune di quanti vi abitano. Credo che sia il modo migliore di porre la questione perchè sgombra il campo da accenti che non condivido; per esempio, anche nella recente lunga campagna elettorale (dovuta al fatto che siamo andati ad un ulteriore turno di ballottaggio), mi è capitato di sentir affermare: ah, la “mia” Pontedera.

Pontedera non è di questo o di quello, di una parte politica o di un altra, la città non appartiene a nessuno, al contrario ciascuno le apparteniamo.

Ciascuno le apparteniamo perchè la viviamo, significa dire che non è determinante esserci nati, abitarci da “un mucchio” di anni per poter esprimere nei confronti della città, appunto, senso di appartenenza, desiderio di sviluppo, ansia di condivisione civica, visione verso i beni comuni.

A ciascuno, allora, deve essere consentito il modo proprio di viverla, non da singolo ma con altri; si apre il tema amplissimo della socialità, della inclusione, della effettiva integrazione tra le persone che sono la prima risorsa di un territorio. La prima e suprema risorsa di un territorio, direi.

Le persone con le proprie individualità, i cittadini come recita l’articolo 2 della nostra bella Costituzione Italiana:

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»

Come credenti, secondo me, facciamo bene a porre la questione in questo modo.

Nella Lettera a Diogneto (testo cristiano in greco antico di autore anonimo, risalente probabilmente alla seconda metà del II secolo), si legge che (i cristiani) “non abitano città proprie” e, ancora, “Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera.”

Questo testo afferma che i cristiani delle origini davano testimonianza di un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale.

Ciascuno si domandi che cosa può voler dire oggi condurre una vita sociale mirabile e paradossale.

Avere una vita sociale, significa, come accennato prima, non considerarsi un insieme di singoli individui ma come tessere di un infinito puzzle; presa singolarmente, una tessera del puzzle, può apparire enigmatica, estranea al disegno, ma se collocata al giusto posto e solo se collocata lì, proprio lì, tutto il resto trova completezza, unicità, significato, bellezza per lo sguardo che, tra l’altro, è capace di riconoscere qualcosa di compiuto.

Occorre quindi credere convintamente che il noi ha maggiore significato dell’io; di più, l’io trova significato solo nel noi. Come credenti dobbiamo chiedere alle nostre rispettive comunità di appartenenza che non si vada mai in pausa nell’educare ed educarci alla socialità, alla condivisione.

Dovrebbe anche venirci naturale, siamo adoratori di un Dio che è famiglia!

La preghiera odierna, suggerisce e individua uno scopo, un obiettivo: creare rapporti veramente umani.

Eh sì, anche nel 2019 continua ad essere importante il nostro impegno per creare rapporti, come? veramente umani.

Creare rapporti: il verbo è impegnativo, si addice al Padre più che a noi. Creare nel senso di suscitare rapporti, provocare rapporti tra le persone, fare in modo che ci siano rapporti. Proprio perchè cresce la tentazione dell’indivisualismo, che è come un tarlo della vita comunitaria, occorre avere immaginazione (pensarne sempre una nuova, o come direbbe quel cantante “penso più veloce per capire se domani tu mi fregherai”) per far sì che le persone stiano insieme, condividano spazi, storie, vite, sogni.

Il cristiano non è più bravo degli altri per pensarne sempre una nuova, ma è cristiano se è capace di novità di vita, in quanto ogni giorno scopre la salvezza che gli viene dal Suo unico Signore. Il cristiano è tale, in questo senso, solo se è veramente l’uomo della novità.

E’ questo “il potere dei segni” che noi cristiani dobbiamo perseguire, secondo l’espressione di don Tonino Bello.

Dice Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium (nr. 92): non lasciamoci rubare la comunità!

Al riguardo, in allegato un contributo interessante (Comunità – Manicardi)

Questi rapporti, ricercati, provocati, devono essere (sempre secondo l’invocazione) veramente umani.

Molti di noi, anche all’interno della comunità ecclesiale, denunciano la deriva che la società tutta sta vivendo verso uno stile sempre meno connotato da umanità. Gli esempi ciascuno può farne di svariati. Se qualcuno trovasse difficoltà a trovare esempi, faccia un fischio che vengo in soccorso.

Già secondo Ireneo di Lione (Vescovo, 130-202): “Infatti la gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione dà la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio!” 

Ci illumina a riguardo Giovanni Paolo II con la sua prima enciclica (4 marzo 1979) Redemptor Hominis: «l’uomo è la via della Chiesa» e l’unico liberatore dell’uomo è Gesù Cristo.

“In realtà, quel profondo stupore riguardo al valore ed alla dignità dell’uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama anche Cristianesimo. Questo stupore giustifica la missione della Chiesa nel mondo, anche, e forse di più ancora, «nel mondo contemporaneo». Questo stupore, ed insieme persuasione e certezza, che nella sua profonda radice è la certezza della fede, ma che in modo nascosto e misterioso vivifica ogni aspetto dell’umanesimo autentico, è strettamente collegato a Cristo. Esso determina anche il suo posto, il suo – se così si può dire – particolare diritto di cittadinanza nella storia dell’uomo e dell’umanità. La Chiesa, che non cessa di contemplare l’insieme del mistero di Cristo, sa con tutta la certezza della fede, che la Redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all’uomo la dignità ed il senso della sua esistenza nel mondo, senso che egli aveva in misura notevole perduto a causa del peccato. E perciò la Redenzione si è compiuta nel mistero pasquale, che attraverso la croce e la morte conduce alla risurrezione”.

“Il còmpito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù. Contemporaneamente, si tocca anche la più profonda sfera dell’uomo, la sfera – intendiamo – dei cuori umani, delle coscienze umane e delle vicende umane”.


Ultimo accenno alla invocazione di preghiera; il dominio sul mondo da parte della fretta e dell’ansia.

Fretta ed ansia nei rapporti interpersonali non aiutano certamente all’armonico sviluppo della reciproca conoscenza, della stima, del rispetto.

Fretta ed ansia non aiutano certamente ad entrare in sintonia nè con gli altri, nè con il totalmente Altro.

L’ascolto della Parola di Dio ed il conseguente Amare Dio ed il prossimo, sono seriamente compromessi, per non dire impediti, se ci lasciamo dominare dalla fretta e dall’ansia.

Cosa dobbiamo fare? Agire di conseguenza, ritagliandoci spazi propri che non rimangano tali; l’interiorità, la riflessione, il silenzio, l’ascolto possono sembrare atteggiamenti passivi ma sono indispensabili per la vita individuale e comunitaria che possa essere ancora oggi come per i cristiani delle origini, testimonianza di un paradosso

Proviamo a chiederci se è ancora questo ciò che ci viene richiesto (non dall’Europa, ovviamente).

Qui di seguito il già citato allegato.


La preghiera per la città è un gesto molto bello, significativo, importante. Essenziale. Sarebbe riduttivo e direi, peccato di omissione, se lo ritenessimo esaustivo dell’impegno dei credenti per la città.

Sono, ancora, illuminati alcune frasi tratte dal discorso di Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Palermo (novembre 1995):

“La Chiesa non deve e non in­tende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politi­co o di partito, come del resto non esprime preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale, che sia rispettosa dell’autentica democrazia. Ma ciò nulla ha a che fare con una “diaspora” culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile adesione a forze politi­che e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace. E’ più che mai necessario dunque edu­carsi ai principi e ai metodi di un discernimento non solo personale, ma anche comunitario, che consenta ai fratelli di fede, pur collocati in diverse formazioni politiche, di dialo­gare, aiutandosi reciprocamente a operare in lineare coe­renza con i comuni valori professati”.

Incoraggiato anche dal pronunciamento Pontificio sopra richiamato, mi permetto di condividere la breve seguente personale riflessione.

Durante le ultime settimane abbiamo toccato con mano, con dolore, la divisione a cui hanno colpevolmente ceduto molti dei nostri fratelli nella fede; nella legittima individuale opzione nei confronti di un partito politico non possiamo dividerci, magari sollevando l’accusa reciprocamente di non appartenere alla “giusta” parte politica.
Abbiamo così assistito, anche su gruppi wathsapp irresponsabilmente (in alcuni casi anche impropriamente) usati a fini di campagna elettorale, a chi diceva “un cattolico non può voltare Lega”, altri che ribattevano “chi è di sinistra non può essere cattolico”.
Tutto questo, a mio avviso, é da condannare e quando ne ho avuto occasione l’ho fatto senza remore e con chiarezza estrema.
Dobbiamo registrare, inoltre, una diffusa disaffezione che si è mostrata chiaramente con circa il 40% di concittadini che hanno disertato la consultazione per il ballottaggio.

Tutto ciò non consente che siamo felici, da qualsiasi sponda si osservi la realtà.
Come comunità ecclesiale dobbiamo ammettere l’omissione nel raccomandare, invece, la partecipazione alla vita della città, che fa crescere sempre tutti. Se per qualcuno di omissione non si è trattato, sicuramente posso dire che avrei gradito una maggiore sottolineatura della importanza della responsabile partecipazione alla vita e alle scelte della comunità cittadina. Ritengo che avremmo dovuto farlo, avremmo potuto farlo come già nel passato abbiamo esercitato anche in questo modo un legittimo sano protagonismo.
Adesso dobbiamo prendere atto che la nostra comunità cittadina é divisa. Non spetta a noi compiere un analisi del voto, ciò spetta primariamente alle realtà dei partiti e delle loro coalizioni. A noi, come cittadini e come cristiani, non spetta certamente fare come se nulla fosse accaduto o, come si dice, mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Soprattutto spetta a noi dare quel peculiare contributo alla ricucitura di un tessuto che appare lacerato.
Sono convinto che a noi credenti spetti la responsabile appartenenza alla realtà civica. Sono anche convinto che come cristiani siamo detentori di quella Buona Notizia che sola può “fare nuove tutte le cose”.

Claudio

One thought on “Per la città, questo ed altro

  • 1 Luglio 2019 at 7:41
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    Completamente d’accordo.

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