Si conclude oggi la Settimana ecumenica, settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
In tutto il mondo, come cristiani, ci riuniamo in preghiera per crescere nell’unità. Lo facciamo in un mondo in cui la corruzione, l’avidità, l’ingiustizia causano disuguaglianza e divisione. La nostra è una preghiera unita in un mondo frantumato, per questo è incisiva. Ciò nonostante, come singoli e come comunità siamo spesso complici di ingiustizie, laddove, invece, come cristiani siamo chiamati a rendere una testimonianza comune in favore della giustizia, e ad essere uno strumento della graziaguaritrice di Dio in un mondo lacerato. (Dalla introduzione al fascicolo dipreghiere 2019)
La festa della Conversione di San Paolo conclude in modo significativo questa settimana, ricordando che “non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione”, secondo il Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II.
L’unità cristiana non significa solo unità fra le differenti chiese ma anche e soprattutto tra le differenti culture.
Il Salmo 87, affermando che “tutti là siamo nati”, presenta agli occhi dei credenti di tutti i tempi un ideale di unità culturalee di civiltà permanentemente valida.
Sui monti
santi egli l’ha fondata;
2 il Signore ama le porte di Sion
più di tutte le dimore di Giacobbe.
3 Di te si dicono cose gloriose,
città di Dio!
4 Iscriverò Raab e Babilonia
fra quelli che mi riconoscono;
ecco Filistea, Tiro ed Etiopia:
là costui è nato.
5 Si dirà di Sion:
“L’uno e l’altro in essa sono nati
e lui, l’Altissimo, la mantiene salda.”
6 Il Signore registrerà nel libro
dei popoli:
“Là costui è nato”.
7 E danzando canteranno:
“Sono in te tutte le mie sorgenti”.
Questo salmo trova il suo pieno senso in Cristo, il nuovo tempio, in cui ogni popolo e ogni cosa sono riconciliati. In Gerusalemme tutti i popoli hanno la loro registrazione anagrafica in un “libro” che è quello della vita.
“I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità.Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l’intero genere umanosu tutta la faccia della terra hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cuiProvvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza siestendono a tutti finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che lagloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce”. (Concilio Vat.II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane “Nostra Aetate”, nr. 1)
L’unica paternità di Dio rende i popoli fratelli, le nazioni sorelle.
Nel cristianesimo tutto è “ecumenico” perché il Cristo è salvatore universale. Di lui non possiamo dire nulla in senso non universale: tale è il suo Vangelo; tale è tutta la sua opera messianica.
L'”ecumenicità” del Cristianesimo fonda la”cattolicità” della Chiesa; per essere legata sacramentalmente aCristo e per aver ricevuto da lui una missione universale (cf Mt 28,20), laChiesa è per sempre cattolica: “la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo ilsacramento, ossia il segno e lo strumento dell’ intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. (Lumen gentium, nr. 1)
Essendo mandata a tutti i popoli (“ma avrete forzadallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme,in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”. At. 1,8), la Chiesa ha l’obbligo di inculturare in essi il cristianesimo, di insaporare le loro culture con il sale della sapienza evangelica collaborando alla loro piena umanizzazione.
Per le premesse fatte, ho collocato in questi giorni la ricerca, lo studio, la riflessione sulla educazione alla mondialità.
Ne offro qui alcuni spunti suggerendo, per chi interessato,la ricerca (anche in Internet) di Cem mondialità, Cem Padova, Macondo.it per citarne solo pochissimi tra i vari gruppi e organismi che si occupano di educazione alla mondialità.
Le vie alla cultura della mondialità, tutte degne di essere percorse ed esplorate, potrei indicarle in: via antropologica, via etica, via politica, via pedagogica. Dopo alcune considerazioni, di seguito mi inoltro nella via pedagogica.
Siamo nella possibilità e nell’ urgenza di essere mondiali nel nostro “cortile di casa”. I terzomondiali, infatti, sono fra noi; nel nostro territorio nazionale si sta da tempo componendo una società multirazziale, pluriforme e pluriculturale. Alla pressione migratoria dall’ Est europeo si aggiunge l’altra spinta migratoria proveniente da Sud. Le difficoltà di accoglienza sono molteplici e di diversa natura; certamente viene avanzata una provocazione alla nostra speranza.
Dobbiamo tuttavia chiederci come organizzare la speranza su questo fenomeno sempre nuovo e difficile.
A mio avviso si richiede, per il cristiano e per le comunità ecclesiali, uno stile di vita dalla solidarietà lungimirante e di vaste vedute.
Saper valorizzare una “chance”. L’immigrazione, a ben vederla, è una chance, soprattutto tenendo conto della situazione d’invecchiamento della popolazione italiana: anche gli operatori economici lo vanno ripetendo.
Riscoprire la virtù dell’accoglienza. Il problema degli immigrati sollecita le comunità cristiane a riscoprire la virtù dell’accoglienza: “La responsabilità di offrire accoglienza, solidarietà e assistenza ai rifugiati è innanzi tutto della Chiesa locale”, ricordava vari anni fa il Pontificio consiglio dellapastorale per i migranti e gli itineranti (“I rifugiati: una sfida alla solidarietà), ed ancora: “Il primo luogo d’attenzione ecclesiale ai rifugiati resta la comunità parrocchiale”.
Adottare le “forme lunghe della solidarietà”. L’esercizio della solidarietà deve assumere i tempi e le misure delle emergenze che stiamo vivendo: “Si comprende così come il principio della legalità si intrecci con quello della solidarietà, e quanto sia pericolosa l’ illusione di ritenere chiuso il capitolo solidaristico, per rimettere il futuro interamente alla capacità dei singoli individui. Oggi è ancor più necessario di un tempo un profondo senso di solidarietà, che abbracci tanto le forme “corte” di solidarietà, come quelle incentrate sui legami familiari e sui rapporti privati, quanto quelle “lunghe”, che fanno riferimento a realtà vaste e complesse, e perciò esigono interventi di lungo periodo con un’ attenta valutazione dei bisogni e delle risorse disponibili. La solidarietà deve collegare i gruppi politicamente, culturalmente ed economicamente più forti con quelli più deboli, gli anziani con i giovani, il Nord con il Sud, i cittadini con gli immigrati. Una simile solidarietà si può affermare solo con la collaborazione attiva di tutti, in ordine a far sì che le strutture della società siano sempre più corrispondenti alle esigenze fondamentali di libertà, di giustizia, di eguaglianza della persona umana. (Educare allalegalità. Per una cultura della legalità nel nostro Paese, CEI, nr. 11)
Promuovere una cultura della pace. Nulla come una cultura di pace può contribuire, da subito e nel proprio spazio di vita, a preparare una cultura della convivenza dei popoli. Nello spirito della Pacem in terris di Giovanni XXIII e lo sviluppato insegnamento sul tema dai pontefici fino a papa Francesco, noi cristiani, agendo in un forte contatto interreligioso, dobbiamo mostrare audacia nel sostenere la profezia della pace, quale bene indivisibile e permanente dell’ intera famiglia dei popoli.
Prendere la difesa dei popoli “ultimi”. Una carità politica speciale e di vaste dimensioni si richiede dai cristiani e dalle Chiese: che sappiano difendere i popoli e i gruppi etnici in difficoltà, che sappiano accorgersi dei “popoli che muoiono” e sappiano intervenire e si possano fermare etnocidi spaventosi. Sono oltre 100, secondo una ricerca attivata semplicemente con un motore di ricerca in internet. E’ scandaloso mostrare più attenzione e maggiore premura per l’orsetto panda, la foca monaca e l’aquila reale e meno per i gruppi etnici a rischio.
Diventare europei. Ci è chiesto di diventare europei. Esiste un ricchissimo magistero di Papa Giovanni Paolo II al riguardo: ci insegna come costruire e come abitare la “casa comune d’Europa”.
Accompagnare la natura alla salvezza. Nel convincimento di fede che la natura è creatura di Dio e che essa, in modo misterioso, è implicata nella storia della salvezza, il cristiano si assume l’incarico di partecipare alla grande causa della salvaguardia della natura, la sorella minore che Dio ha affidata alle mani e alla guida cosciente dell’uomo.
Educamondo
La “mondialità”, va indotta con l’atto educativo capace di accompagnare, di motivare. Una azione educativa che parta dall'”altro”. Inoltre che apra alla conoscenza, all’accettazione, alla valorizzazione della differenza. Questa viene considerata come valore, risorsa e diritto. Non si tratta solo di avere tolleranza.
Oggi il problema è che con l’altro dobbiamo convivere e soprattutto costruire un destino comune. C’è bisogno di passare da atteggiamenti semplicemente di rispetto e di tolleranza ad atteggiamenti di cooperazione, di convivialità, si simpatia, per un cammino di civiltà da fare insieme.
Una vera educazione alla mondialità passa attraverso l’educazione alla differenza poiché non significa diventare tutti uguali, eliminando le differenze, camminando tutti verso qualcosa che ci accomuna e che ci rende simili.
L’educazione alla mondialità non significa educazione all’ indifferenza delle idee e degli stili di vita, o all’ omologazione sociale,ma alla reciprocità delle differenze. Siamo diversi per poterci integrare,completare, arricchirci e abbellirci nell’incontro solidale e partecipe dellenostre identità. Non può mancare il rispetto della differenza culturale el’accettazione dell’interculturalismo come valore.
Educare alla mondialità significa anche educare alladecostruzione per smontare le basi culturali su cui poggia l’ideologia dellaguerra, del profitto assolutizzato, degli egoismi nazionali e di quant’altroostacola la nascita di una cultura della pace, della solidarietà edell’ interdipendenza planetarie.
Anzitutto il processo di decostruzione è in grado disottoporre a critica dura e demotivante quelle che sono state chiamate le“ideologie di ritorno”: l’ ideologia del sangue (razza), l’ ideologia del luogo (patria), l’ ideologia della proprietà (disancorata da apertura sociale), l’ ideologia della forza (violenza e guerra per risolvere i conflitti tra i popoli).
La cultura della convivenza tra i popoli per essere qualcosadi serio deve cominciare subito e intorno a noi. Per facilitare questa impresaponiamo di fronte a noi l’ icona della convivialità con l’augurio di lasciarci orientare dai suoi tratti:
il gruppo, ossia la presenza dell’altro;
la presenza dei beni, non solo di quelli materiali;
la condivisione dei beni, secondo i principi della creazione e della fraternità;
il consumo dei beni, senza egoismo, senza sprechi, eppure secondo il principio della sovrabbondanza caritativa;
il faccia a faccia dei commensali;
il clima di gioia e di festa;
la disponibilità al perdono, di fronte alla trasgressione e alla colpa.
Claudio