Per la civiltà dell’Amore

Riflessioni alla vigilia di un voto importante

Nei giorni scorsi, di fronte alla manifestazione di un personaggio pubblico che ricopre pro-tempore il ruolo di ministro della Repubblica, nella quale ha usato simboli della nostra fede cristiana e fatto invocazioni più idonee a contesti diversi da quello di un comizio elettorale, ma soprattutto difronte alla enorme presa di posizione del cattolicesimo nostrano, una persona si è confidata commentando: che banda!

E’ necessario comprendere lo sbigottimento di fronte ad un reiterato (già nel febbraio 2018 infatti il noto personaggio politico era stato invitato dal Vescovo di Milano: “nei comizi si parli di politica”) atteggiamento a dir poco inopportuno ma, come credenti, dobbiamo comprendere che ciò a cui stiamo assistendo chiama in causa la bellezza della libertà dei figli di Dio, di noi, che non possiamo non discernere la Sua volontà nella storia, che comunque è da Lui saldamente condotta.

Libertà che fa rima, quindi, con responsabilità.

Come non avvertire che siamo ancora difronte all’eterna lotta tra il bene e il male?

A noi spetta il compito di discernere e di prendere posizione. Eh, già, non possiamo esimerci dal prendere posizione. Dobbiamo schierarci, sporcarci le mani, in un certo senso non possiamo non essere partigiani. Si tratta di scegliere da che parte stare.

Anche ripensando a quanto ci comunica Dio in Apocalisse, a me pare che questo continui a chiederci il Signore.

“All’angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. (Ap. 3, 14-16)

I trattatisti di vita spirituale sono unanimi nell’indicare il pericolo dello stato di tiepidezza e incoraggiano nei loro lettori l’abitudine di sostenere un esame di coscienza, cercando di verificare se adempiono il dovere di cristiani secondo la volontà di Dio o se, al contrario, si trovano in decadenza e mediocrità di spirito.

Non piace a Dio l’uomo indeciso e indolente nei suoi impegni di cristiano, quanto invece piace l’uomo ardente e deciso.


Come sempre, anche in questi giorni, sui canali social è transitato veramente di tutto. Nel mio piccolo cerco di rilanciare quanto può essere utile alla riflessione, ad una riflessione che muova all’azione; se non vogliamo subire le terribili conseguenze della tiepidezza.

Del resto il Vangelo non è il Vangelo delle chiacchiere bensì delle opere.

Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?»». In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». (lc. 7, 20-23)

Nel contempo cerco di far conoscere esempi positivi, che sono distanti anni luce dal clamore dei quotidiani ma che costituiscono la colonna vertebrale del nostro stare insieme come comunità di cittadini e di credenti.

Sentirsi ‘comunità’ significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri. Significa ‘pensarsì dentro un futuro comune, da costruire insieme. Significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese. Vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri. Vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e nel battersi, come è giusto, per le proprie idee rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza, che creano ostilità e timore. (Sergio Mattarella, discorso di fine anno 2018)

Di pari passo non rilancio, di quanto ricevuto, ciò che va contro il buon senso e soprattutto quanto, alla lunga, a mio avviso può ostacolare il libero dispiegarsi del pensare, soprattutto del pensare cristianamente ispirato.


Ho ricevuto, proprio stamani, un pensiero di un anonimo (che simpaticoni, chiunque siano questi lor signori avessero la bontà di qualificarsi) che sparava giudizi su un certo schieramento politico arrivando a concludere che “Chi vota XYZ non è cattolico”.

Il destinatario di tale messaggio ha pensato “bene”, immagino senza contare neanche fino a 10, di ri-girarlo magari a buona parte dei nominativi della propria rubrica(tra i quali il sottoscritto) inondando così i contatti di wattsapp che forse, come me, hanno provato a farne oggetto di riflessione.

“Quindi, per essere definito cattolico quale schieramento politico verrebbe suggerito di votare?”

Credo sarebbe interessante porre questa domanda a chi invia messaggi di tale tenore.

Fanno un po’ come quando, da ragazzini, specialmente con la bella stagione, andavamo in giro suonando i campanelli delle abitazioni e scappando divertiti. Poteva capitare anche andando in giro per la visita delle Sette Chiese. Ho premesso, da ragazzini!

Poi, con la maturità intellettuale, e nel nostro caso anche nel cammino di fede certe cose non si fanno più: non si getta il sasso nello stagno e poi si nasconde la mano e, se proprio vogliamo scomodare Gesù: “Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio». (lc. 9, 61-62)

Nello stradario evangelico sembra non siano ammesse inversioni di marcia, «Seguimi» è l’invito a chi si vuole fidare di un Dio, nelle cui vene scorre solo amore.

Dobbiamo assumerci le nostre responsabiltà.

Non cadiamo nella trappola del mordi e fuggi comunicativo. I cattolici, indipendentemente dagli orientamenti politici individuali, hanno ricevuto da Gesù il suo Vangelo e alla luce della sua Parola devono incontarsi, stare insieme, confrontarsi, amarsi per testimoniare al mondo concretamente (oltre i simboli religiosi) che Cristo è morto ed è risorto per ogni sua creatura.

Il comando dell’amore è stabilito da Dio, chi non ama non è figlio di Dio, perchè Dio è Amore.

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34)

“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35)

“Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri” (Gv 15, 17)

Ecco, a mio parere, la questione va posta in questi termini.

Inoltre Dio ci rivela in Qoelet che c’è un tempo per ogni cosa (3,1-11); penso che questo non sia tempo per tacere, con l’eloquenza della testimonianza, prima di tutto. Come al tempo delle prime comunità cristiane la tensione alla missione è direttamente proporzionale alla tensione alla comunione.

Tertulliano testimonia che i primi cristiani prendevano queste parole di Gesù così sul serio che i pagani esclamavano, ammirati: “Guardate come si amano!” (Apolog. 39)

Un racconto sconvolgente, scritto più di duemila anni fa, illustra quello che rendeva i cristiani un popolo capace di cambiare il mondo mediante il cambiamento del cuore. (Lettera a Diogneto, paragrafi V e VI).

Questo è l’UNICO modo di essere cristiani. È l’UNICO modo di evangelizzare. È l’UNICO modo di “aiutare” Dio a convertire i cuori pagani.

Non è tempo di tacere ed è tempo di scegliere da che parte stare.

Io sto con il Santo Padre (qualunque nome porti, si chiami Giovanni, Paolo, Giovanni Paolo, Benedetto, Francesco); desidero seguire il Magistero della Chiesa cattolica romana ed in particolare il cammino del Concilio Vaticano II che, tra l’altro, ha precisato il valore della coscienza (mi riferisco in particolare a quanto affermato nella dichiarazione “Dignitatis Humanae”) che mi preoccupo di formare e, con tutti i limiti della mia condizione umana (nella quale desidero a tutti i costi rimanere), ritengo di sapere quali forze politiche chiamare a rappresentarmi.

Il Magistero della Chiesa, da San Paolo VI in poi, ha insistito circa la necessità della edificazione di una nuova civiltà dell’amore. Una civiltà che non può conoscere nè tollerare la cultura dello scarto, la cultura della discriminazione del diverso, la cultura dell’elogio dei muri piuttosto che dei ponti, la cultura della paura del profugo e dell’immigrato.

Convertirsi all’Amore, ecco cosa ci aspetta; l’ Amore di cui San Paolo compone il più bel trattato del Nuovo Testamento: l’inno alla carità (1Cor. 13,1-13).

In esso vengono messe in risalto le virtù che accompagnano l’amore: magnanimità, bontà, umiltà, disinteresse, generosità, rispetto, benignità, perdono, giustizia, verità, tolleranza, costanza …

Noi cristiani siamo chiamati a farci imitatori di Cristo, della sua risposta di Amore al Padre fino a morire in croce innocentemente e volontariamente a braccia aperte su una croce.

L’opposto esatto dell’egoismo di Narciso; il mito di Narciso è sicuramente il più conosciuto della mitologia greca. Talmente famoso da diventare una parola di uso comune per indicare una specifica caratteristica dell’uomo: l’amore smisurato per se stessi. Il mito di Narciso, infatti, narra la storia di un giovane bellissimo che perde la vita perché si innamora perdutamente del suo riflesso.

Domandiamoci da che parte scegliamo di stare: dalla parte della condivisione evangelica, con le braccia aperte o dalla parte dell’egocentrismo esasperato che rende capaci di abbracciare solo se stessi ?

Claudio


One thought on “Per la civiltà dell’Amore

  • 26 Maggio 2019 at 19:56
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    Parole oltremodo veritiere ed efficaci!Sono perfettamente d’accordo con ciò che dici anche perché so che a parlare non sei tu ma DIO che è dentro di te!!!Anche noi oggi,nel ns gruppo, abbiamo parlato di questo…..Il Cristianesimo dura, nonostante le persecuzioni, da più di 2000 anni…..noi vogliamo l’Eternità in Cristo!!!!

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