Solidarietà e pace oggi

Tu sei cristiano per mezzo della carità:

per nient’altro e a nient’altro.

Se dimentichi la carità, ti rendi assurdo

e se la tradisci diventi mostruoso.

Nessuna giustizia può dispensarti dalla sua legge.

Se ti stacchi da lei per ricevere qualcosa più grande

di lei,

tu preferisci la ricchezza alla vita.

Se ti stacchi da lei per dare qualcosa migliore di lei

tu privi tutto il mondo

del solo tesoro che sei fatto per donare.

La carità non è facoltativa.

Noi siamo liberi da ogni obbligo

ma totalmente dipendenti da una sola necessità:

la carità.

La carità è più che il necessario per esistere

più che il necessario per vivere

più che il necessario per agire.

La carità è la nostra vita eterna.

Quando lasciamo la carità, noi lasciamo la vita.

Un atto senza carità è morte improvvisa,

un atto della carità è una risurrezione immediata.

…La carità è gratuita pur essendo necessaria:

tu non la guadagni come ad un concorso;

la guadagni desiderandola, domandandola,

ricevendola, trasmettendola.

Non s’ impara la carità, se ne fa conoscenza

a poco a poco

imparando a conoscere Cristo.

E’ la fede nel Cristo che ci rende capaci di carità,

è la vita del Cristo che ci rivela la carità,

è la vita del Cristo che ci insegna

come desiderare, domandare, ricevere la carità.

E’ lo spirito del Cristo che ci fa vivi di carità

attivi mediante la carità

fecondi di carità.

Tutto può servire alla carità.

Tutto è sterile senza di lei. Noi stessi per primi.

Prende avvio con questa preghiera – vale davvero la pena di rileggerla con attenzione – di Madeleine Delbrel, la mistica delle periferie, la riflessione che ho fatto in questi giorni su Solidarietà e Pace.

Poche epoche come la nostra hanno così fortemente esaltato, e non soltanto a parole, i valori della solidarietà e della pace; ma, nello stesso tempo, mai come oggi questi valori sono stati rimessi in questione e appaiono, dunque, come realtà da riproporre e da rifondare di continuo.

Per il cristiano costruire la solidarietà e la pace è una componente essenziale della sua stessa fede, uno dei modi fondamentali con i quali “essere religiosi”.

Per tale motivo ci compete ricercare le occasioni opportune per compiere un percorso di auto-formazione a questi valori. Occorrerà sempre promuovere nella società e nella stessa Chiesa la pace (anche come concordia) e la solidarietà (unita alla giustizia) per esprimere la nostra vocazione ad essere testimoni, nella storia, dell’ amore di Dio; un amore che, come ricorda l’apostolo Giovanni, trova nel servizio ai fratelli un suo essenziale referente. “Nessuno ha mai visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1 Gv. 4,12).

Praticare la solidarietà e costruire la pace è, dunque, una via privilegiata per testimoniare nel mondo, qui ed ora, l’amore di Dio.

Merita qui citare un brano della Enciclica “Sollecitudine sociale della Chiesa” che Giovanni Paolo II ha scritto nel 1987.

Le «strutture di peccato» e i peccati (…) si oppongono con altrettanta radicalità alla pace e allo sviluppo, perché lo sviluppo, secondo la nota espressione dell’ Enciclica paolina, è «il nuovo nome della pace».

In tal modo la solidarietà da noi proposta è via alla pace e insieme allo sviluppo. Infatti, la pace del mondo è inconcepibile se non si giunge, da parte dei responsabili, a riconoscere che l’interdipendenza esige di per sé il superamento della politica dei blocchi, la rinuncia a ogni forma di imperialismo economico, militare o politico, e la trasformazione della reciproca diffidenza in collaborazione. Questo è, appunto, l’atto proprio della solidarietà tra individui e Nazioni. Il motto del pontificato del mio venerato predecessore Pio XII era Opus iustitiae pax, la pace come frutto della giustizia. Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di ispirazione biblica (Is 32,17); (Gc 3,18). Opus solidaritatis pax, la pace come frutto della solidarietà. Il traguardo della pace, tanto desiderata da tutti, sarà certamente raggiunto con l’attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruirne uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore. 

La solidarietà è indubbiamente una virtù cristiana. Già nella precedente esposizione era possibile intravedere numerosi punti di contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo (Gv 13,35). Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù Cristo e posta sotto l’azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto, deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: «Dare la vita per i propri fratelli» (1 Gv 3,16). Allora la coscienza della paternità comune di Dio, della fratellanza di tutti gli uomini in Cristo, «figli nel Figlio», della presenza e dell’ azione vivificante dello Spirito Santo, conferirà al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo. Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si prospetta alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà.


In riferimento alla Pace, in piena coerenza con la dottrina del Concilio Vaticano II e con i successivi interventi del magistero della Chiesa, è ormai largo il consenso in ambito cattolico su tre tesi.

La prima tesi è che, in prospettiva cristiana, pace non è essenzialmente la pura essenza di guerra ma, per riprendere una nota formula di Agostino, la tranquillitas ordinis. Non può essere pace il semplice mantenimento dello status quo o tanto meno la salvaguardia di un regime stabilito, che è spesso un “disordine stabilito”. Il cristiano non può sentirsi appagato limitandosi a consatatare (semmai si verificasse l’eventualità) che non si ode più il fragore delle armi; deve anche verificare la qualità di questa pace, e non separarla mai dall’altro valore ad essa strettamente collegato, la giustizia e il rispetto delle fondamentali libertà e dei diritti umani.

La seconda tesi è che – sia per respingere un ingiusto aggressore, sia per ripristinare l’ordine giuridico ed etico violato – nell’attuale contesto storico, e in presenza di armi di distruzione totale, la via da percorrere, perchè la più vicina al messaggio evangelico, è quella dell’azione non violenta (al limite dalla resistenza non violenta). E’ bene precisare che si tratta pur sempre di “azione”, non di noncuranza, non di rassegnazione, non di passività; ma è un’azione che ricorre a forme diverse dall’uso delle armi. In questo senso il cristiano è sempre un “resistente” (sono esemplari, a questo riguardo, testimonianze come quelle di Dietrich Bonhoeffer o di Massimiliano Kolbe), anche se non necessariamente un resistente violento.

Si tratta di costruire progressivamente la pace con la forza che viene dalla consapevolezza che è necessario e doveroso opporsi al male; ma questa forza è soprattutto spirituale e morale, tutta giocata sulla sfida ad una violenza cieca che prima o poi dovrà piegarsi di fronte a questa energia interiore che la supera, la sovrasta.

Come si comprende bene è, questa, un’azione che richiede tempi lunghi, ma che appare quella più congeniale allo spirito del Vangelo.

La terza tesi è che la costruzione della pace esige una mediazione politica, non può risolversi esclusivamente nella sfera della coscienza. Siamo in presenza cioè di una pace interiore, che si realizza all’ interno di ogni uomo; e c’è una pace esteriore che può essere realizzata solo grazie ad una politica che assuma come suo punto di riferimento la realizzazione della pace nella giustizia.

Il messaggio di questo anno che papa Francesco ci ha consegnato si sofferma su questo aspetto. Domani sera al Santuario del Santissimo Crocefisso in Pontedera potremo riflettere, pregare, interrogarci insieme su queste istanze tanto importanti.

E’ perciò necessario che ci sia chi sappia trasferire il valore della pace dall’ ambito delle coscienza a quello delle strutture, trasformando i comportamenti individuali in scelte collettive, che rappresentano appunto il campo privilegiato della politica.

La buona politica sarà quella che saprà evitare i rischi di un’astratto moralismo e della riduzione della politica a pura prassi, disancorata da ogni riferimento etico. Si tratta di riuscire a coniugare tra loro realismo e profezia.


Alla luce di quanto sopra si può dire che la pace è possibile, ma solo a certe condizioni:

La prima condizione della pace risiede nello stretto legame tra pace e democrazia. La volontà popolare è solitamente volontà di pace e quando la volontà popolare può liberamente esprimersi, le spinte alla guerra vengono il più delle volte esorcizzate e frenate. Costruire la democrazia è, quindi, parte integrante della costruzione della pace.

La seconda condizione della pace è il raggiungimento di un ragionevole livello di sviluppo da parte di tutti i popoli; quando il divario supera una ragionevole soglia – e soprattutto quando si verifica una sorta di inammissibile divaricazione tra popoli ricchi e popoli poveri – allora la pace è inevitabilmente messa in discussione. Nel Magistero sociale della Chiesa, in particolare la sopra citata encliclica e la Centesimus annus del 1991 (Giovanni Paolo II) come pure la Popolorum progressio del 1967 (Paolo VI) viene proposto con forza il legame tra pace e sviluppo dei popoli. E’ un campo di intervento per tutti i credenti.

Infine è necessario che a fondamento dei comportamenti di pace si affermi una cultura della pace e della nonviolenza, sistematicamente diffusa, dalla scuola alle Chiese ed ai mezzi di comunicazione di massa, passando dai social: la società trasuda violenza, che si contrasta all’interno di una cultura di pace di vasto raggio e di grande respiro.

Si tratta di smantellare, uno dopo l’altro, i tanti “miti” costruiti sul culto della forza, da quello dell'”onore nazionale” a quello della “violenza purificatrice”.

Su questo terreno noi credenti possiamo incontrarci con tutti gli uomini di buona volontà e fare con loro un lungo cammino. Sia pure muovendo da posizioni diverse e procedendo su percorsi differenti, ci ritroveremo alla fine nel riconoscimento della dignità dell’uomo.

In questo senso – come ha ricordato Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus, n. 54 – la Parola di Dio non annuncia soltanto un messaggio di salvezza ma “rivela l’uomo a se stesso”. Questa comune “rivelazione” riunirà alla fine, nel giorno del giudizio (cfr Mt 25), tutti coloro che in buona fede e con sincerità di animo hanno servito l’uomo, servendo – consapevolmente o inconsapevolmente – lo stesso Dio.

A noi credenti spetta abitare questo vasto campo: per la costruzione della democrazia, per una armoniosa integrazione tra i popoli, per l’ elaborazione e la diffusione di una vera cultura di pace.

E’ un’opera silenziosa, umile, di lungo periodo, apparentemente non produttiva e non premiante, ma alla fine preziosa e feconda.

Ritorna il tema, fondamentale, della solidarietà. Senza spirito di solidarietà non è possibile nè costruire la democrazia nè addivenire a più giusti rapporti tra i popoli. Sotto questo aspetto si potrebbe affermare che la solidarietà è il nuovo volto della pace, di una pace fondata sulla giustizia.

Claudio


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